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Addio Francesco Benozzo, limpido maestro della diserzione

Addio Francesco Benozzo, limpido maestro della diserzione

L’anarchia di Benozzo si traduceva nella valorizzazione dell’individuo liberato dall’annientamento del potere


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Non ci si crede, ma se al cuore non si comanda, figurati a quello di un anarchico vero come Francesco Benozzo cosa potrai mai dirgli.
In questi casi è sempre difficile stabilire il confine di dove finisce l’omaggio, e dove inizia il protagonismo di chi l’omaggio lo scrive. Farò del mio meglio.
Il professor Benozzo molto probabilmente neanche si ricordava dello scrivente, ma del resto le nostre strade si sono incrociate dal vivo una volta sola, nel 2012 se non ricordo male, a un evento per celebrare il 25 aprile alla Rocca di Sestola, una vita fa, quando l’autore di queste righe aveva “pretese” artistiche e si esibiva con un gruppo di teatro narrante.
Finita la nostra esibizione, Benozzo, che non conoscevo, si esibiva in duo con Fabio Bonvicini, lui all’arpa celtica e Bonvicini ai flauti e alla piva, in un concerto chiamato “Anarchici Canaglie e Perdigiorno” che successivamente è stato inciso in un album intitolato “Libertà l’è morta” che potete recuperare su Spotify come il resto della sua discografia. Fu un bel concerto, così come è un bel disco da ascoltare per capire cos’è stata l’anarchia, oltre i libri di storia, oltre ciò che ci viene narrato a scuola.
Benozzo poi l’ho
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riscoperto sulle pagine di questo giornale e mi sono sentito onorato di aver potuto condividere gli spazi di libertà che La Pressa offre.
Il suo esempio poi, come oppositore al Green Pass, è stato di una coerenza granitica, facendo capire, una volta di più, che quella fase storica si stava rivelando di forte oppressione delle libertà fondamentali e ha sottolineato, in un epoca in cui si grida al ritorno al fascismo ogni giorno, che l’autoritarismo e l’oppressione, si travestivano da omologazione forzata.
E’ di pochi giorni fa, un suo post su Facebook in cui scriveva: 'Come sostenni 4 anni fa, la corsa ai vaccini era in tutto e per tutto una corsa alle armi. Le metafore belliche usate all’epoca del Golpe dello Starnuto (la guerra contro il nemico, la difesa dei confini, i non vaccinati come disertori) hanno fatto breccia nelle popolazioni lobotomizzate, ed è anche grazie a quel processo di manipolazione che oggi è piu facile far passare le stragi di donne, bambini e uomini - finanziate tra gli altri dall’UE - come necessarie per il “bene comune”. Ma intanto questi governi di guerrafondai e criminali sono legittimati, come sempre, da chi ancora si reca alle urne per votare.
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L’unica via resta la diserzione'.

Abbiamo perso, senza ombra di dubbio, il più lucido intellettuale dei nostri giorni, e forse non esagero se dico che abbiamo perso quanto di più vicino abbiamo avuto a Pier Paolo Pasolini.
Lontano dai riflettori e dalla vanità, e lontano anche dagli sterili dibattiti dove vince chi parla più forte, la sua anarchia non era quella “antagonista” dei cortei autorizzati in linea e strutturate dal potere che contesta, per usare parole di Gianni Galeotti quanto ha descritto il suicidio dell’anarchia modenese. L’anarchia di Benozzo si traduceva nella valorizzazione dell’individuo liberato dall’annientamento del potere, per cui lo stesso Benozzo, non avrebbe mai potuto prendere parte a un corteo autorizzato. La sua disobbedienza civile non era quella mediatica e rumorosa di un Marco Pannella, ma quella coerente di chi non lo fa per tornaconto personale o politico, ma solo per mettere in discussione il potere e le sue strutture. L’anarchia non come ideologia fine a se stessa per darsi una collocazione un tanto al braccio e per cercare di sfuggire a un’etichetta; ma per muovere continuamente una critica, anche costruttiva, a un sistema che invece punta all’inscatolamento dell’individuo.
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Inutile dire che lascia un vuoto incolmabile nel pensiero libero che, con la sua dipartita, perde ulteriore mordente, visto il panorama drammaticamente omologato dei nostri giorni.
Non resta che un un ultimo saluto, in queste modeste righe che vogliono ricordarlo, e lo faccio con una dedica, una canzone di Boris Vian del 1954, “Le Déserteur”, una nota canzone contro la guerra, ripresa più volte anche in Italia, e che non avrebbe sfigurato in uno dei tanti album o concerti, del più coraggioso disertore dei nostri giorni.
Stefano Bonacorsi
Foto dell'autore

Modenese nel senso di montanaro, laureato in giurisprudenza, imprenditore artigiano, corrispondente, blogger e, più raramente, performer. Di fede cristiana, mi piace dire che sono quello che leggi....   

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