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Mirandola, la testimonianza del Balilla Ribelle: Romano Levoni

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'Quel periodo storico va affrontato con animo scevro da ideologismi e faziosità. Senza aiuto degli anglo-americani l’Italia non si sarebbe mai potuta liberare'


Mirandola, la testimonianza del Balilla Ribelle: Romano Levoni
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In occasione della manifestazione della Colonna della Libertà che si è tenuta oggi a Mirandola per commemorare il 25 aprile è stata consegnata una targa a Romano Levoni, il 'Balilla Ribelle'. Levoni, classe 1929, assente per motivi di salute, ha delegato i figli di trasmettere il suo pensiero e la sua testimonianza.

Sono Romano Levoni, classe 1929, nome di battaglia “Balilla il Ribelle” ed oggi, settantotto anni fa’, proprio in queste ore, partecipavo alla sfilata della prima Divisione Armando Modena Montagna inquadrato quale Alfiere della Libertà e Portabandiera della Bandiera di Guerra Tricolore, a conclusione dei due anni di guerra trascorsi.

Partecipo a questa Festa della Liberazione e alla ricostruzione storica, scevro da qualsiasi posizione ideologica, affinchè possa trasmettere la Mia personale esperienza di guerra alle generazioni future perchè quegli accadimenti, quei lutti, quelle disgrazie non si possano mai più verificare.
La Mia esperienza di combattente per la Libertà iniziò nell’estate del 1943 quando conobbi il futuro Comandante Partigiano Giovanni Rossi colui che da lì a pochi mesi divenne il Primo Comandante partigiano combattente delle montagne modenesi al comando di un manipolo di sassolesi. In quel periodo, il Comandante Giovanni Rossi, militava come Sergente del Regio Esercito ed era in convalescenza a Sassuolo dopo essere stato ferito gravemente dai partigiani Titini nel 1943. Una scheggia di granata gli sguarciò il petto a pochi centimetri dal cuore. Solo un miracolo lo salvò dalla morte certa.
Partecipai la sera dell'8 settembre 1943, insieme al Comandante Giovanni Rossi, alla chiamata a raccolta dei sassolesi suonando le campane della Torre civica del Paese contro l'invasore tedesco.
Il 9 settembre ero tra i combattenti della Battaglia del Palazzo Ducale prelevando, insieme al fratello Carlo, un camion del Regio Esercito pieno di munizioni e di armi conducendolo fino alle porte di Polinago intraprendendo, giovane tredicenne, la via dei monti cosi’ iniziando la resistenza contro i nazi-fascisti. Ai primi di marzo del 1944 appresi dell’assassinio del Comandante Giovanni Rossi ucciso per ordine del P.C.I. non volendo subire le imposizioni del Commissario Politico.

Da maggio 1944 ho partecipato attivamente, insieme a mio fratello Carlo, alle azioni di combattimento che si svolsero sugli appennini modenesi tra le quali il combattimento di Selva di Puianello, l'azione di minamento della strada provinciale di Gombola, la difesa della di Repubblica di Montefiorino e la Battaglia di Benedello dove venimmo feriti in combattimento e dati per morti.
Alla fine della battaglia, protratto tutto il giorno, e in seguito allo sbandamento delle formazioni partigiane coinvolte nello scontro, passammo la Linea Gotica nell'inverno del 1944 confluendo, insieme agli altri partigiani superstiti, nella Força Expedicionária Brasileira (F.E.B.) e continuando a combattere in prima linea durante tutto l’inverno e la primavera del 1944/1945. Io e mio fratello partecipammo non ultima alla Battaglia di Monte Belvedere nella primavera del 1945.

Insieme al Comandante 'Armando' Mario Ricci, ai rappresentanti del O.S.S. americano, ricevemmo le ultime istruzioni nella piazzetta di di Vidiciatico prima dello sfondamento della Linea Gotica.
Con il gruppo di combattimento intitolato al S.Ten. Selvino Folloni, partecipai ai combattimenti di Monte Lancio contribuendo a liberare Fanano, Sestola, Pavullo nel Frignano, Serramazzoni e Maranello dove, per ordine dei Comandi Alleati, il Gruppo di Combattimento venne fermato. Anni addietro, in qualita’ di ospite d’onore, ho inaugurato il Cippo Commemorativo della Liberazione alla presenza del Sindaco di Fanano.

Dato per morto e mancando da casa ormai da più di un anno, raggiunsi Sassuolo in bicicletta anticipando la Colonna dei Brasiliani che la Liberarono il 23 aprile 1945. Ho conosciuto personalmente don Sante Bartolai, autore del famoso libro Da Fossoli a Mauthausen, rivedendolo nel 1970 insieme ad una scolaresca di giovani ventenni.
I miei ricordi delle atrocità della guerra civile sono frammenti che caratterizzarono quegli anni. L’immagine dei partigiani catturati durante una retata nazi-fascista e impiccati, in mancanza di alberi, legandoli ad un camion con filo di ferro. Le parole del mio primo cugino, squadrista della prima ora, che minacciava mia madre d’impiccarci all’albero di casa. Le minacce di morte ricevute da un componente della formazione partigiana dove militavo quando domandai “perche’ dobbiamo osannare Tito se le armi e le munizioni ci vengono fornite dagli americani” con uno stentoreo “taci che se non fossi un bambino ti avrei gia’ ucciso”. Quel periodo storico deve essere affrontato con animo scevro da ideologismi e faziosità. Senza l’aiuto fondamentale degli anglo-americani l’Italia non si sarebbe mai potuta Liberare. I partigiani rappresentarono quel popolo che volle risollevare l’Italia dalla dittatura nazi-fascista. Ed è per questo che reputo quel momento storico come un Secondo Risorgimento e non una bandiera ideologica da sventolare da parte dei comunisti. Solo per aver sempre manifestato queste idee, da Patriota oltre che Garibaldino per l’Italia, e per aver difeso e riabilitato il Primo Comandante delle nostre montagne, Giovanni Rossi, dalle gravi accuse avanzate dall’allora P.C.I. e diffuse al solo scopo di giustificarne l’assassinio, sono stato gravemente offeso e denigrato dalla presidente dell’Anpi di Sassuolo con parole che non meritarono nessuna risposta solo per rispetto dei partigiani morti o feriti, del Comandante Giovanni Rossi, e di chi ebbe a soffrire per quegli eventi luttuosi. Rispedisco al mittente chi ha messo in discussione, per fanatismo ideologico, la mia storia personale di Combattente per la Libertà, accusandomi tra l’altro di essere manipolato “dalla destra”, di essere un “sedicente partigiano” o ancora di essere afflitto da “una fantasia ormai distorta dagli anni di un anziano che, lui sì, manipola la realtà”. Quanto allora feci lo ebbi a fare non perchè lo riporta un “cartellino”, ma perche’ guadagnato con il sacrificio combattente e ripagato dalla mistificazione subita da parte di chi per compito istituzionale avrebbe dovuto tutelare e difendere la reputazione di tutti i partigiani combattenti. Son i fatti, gli eventi, che parlano al mio posto, come le medaglie o le onorificenze che l’Esercito brasiliano mi ha riconosciuto nel tempo; o come l’A.L.P.I., Associazione Liberi Partigiani d’Italia, mi ha onorato insignendomi del titolo di Presidente Onorario.

Come mai avrei pensato, dopo aver combattuto allora, perchè non esistessero mai più campi di concentramento come quello di Fossoli quando pochi anni dopo anni addietro fui costretto a scoprire che si era trasformato nel “Villaggio San Marco” per “ospitare” i profughi italiani provenienti dall’Istria e dalla Dalmazia scacciati e perseguitati dagli jugoslavi di Tito.
Ringrazio tutti i presenti augurandomi di riuscire a presenziare la Festa della Liberazione del prossimo anno.

Redazione Pressa
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