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Sono stati arrestati dalla Guardia di Finanza di Reggio Emilia, con applicazione dell’obbligo domiciliare, i due imprenditori coinvolti nella nota vicenda dei 4 milioni di mascherine importate dalla Cina, per un valore di quasi 6 milioni di Euro. La Corte di Cassazione ha infatti reso definitivo il provvedimento restrittivo della libertà personale richiesto dal Pm di Reggio al Tribunale della Libertà, dopo l’iniziale rigetto del Gip.
Chiuse le indagini su 6 persone anche per corruzione e false fatture, nonché per l’autoriciclaggio del profitto illecito delle mascherine importate.
Contestualmente agli arresti ed alla notifica dell’avviso di chiusura indagini preliminari della Procura, è stata altresì notificata ai due imprenditori la misura cautelare del divieto di contrattare per un anno con la Pubblica Amministrazione; i due sono accusati di truffa all’Ausl, frode in pubbliche forniture, false fatturazioni, corruzione ed autoriciclaggio del denaro provento della illecita vendita di mascherine all’ente pubblico reggiano, poi reimpiegato con operazioni bancarie per ulteriori acquisti ed importazioni di altri dispositivi medicali.
Accolto quindi in pieno l’appello cautelare della Procura di Reggio Emilia che ha condotto le indagini sulla nota vicenda, che ha visto i militari delle Fiamme Gialle eseguire perquisizioni e sequestri - tutt’ora in essere - di oltre 2 milioni di mascherine e di oltre 300mila euro, profitto delle false fatturazioni degli imprenditori.
I due soci in affari sono accusati di aver importato i dispositivi di protezione non conformi grazie a documenti falsi, corrotto un dirigente dell’Ausl dell’epoca e commesso reati tributari per dividersi i guadagni illeciti: per tali fatti la Cassazione ha dunque riconosciuto i gravi indizi di reato ed il rischio di reiterazione, così applicando cumulativamente le misure degli arresti domiciliari e del divieto temporaneo per 1 anno a contrattare con la pubblica amministrazione.
Le condotte illecite di importazione delle mascherine, oltre che commesse in concorso con intermediari esteri, sarebbero state agevolate da un membro del Gruppo Ausl, costituito proprio per acquistare i dispositivi ai tempi della pandemia: l’ingegnere è infatti accusato di aver volontariamente omesso i controlli tecnici di specifica competenza sulla genuinità dei prodotti e dei documenti accompagnatori, dando così copertura tecnica all’inidoneo materiale, acquistato dall’Ausl grazie ad un rapporto corruttivo che i due imprenditori avevano instaurato a monte con un dirigente medico dell’Ausl ora in pensione, con il quale erano d’accordo per iniziare un business societario in tema di vaccini e consulenze anticovid.
I due soci, inseritisi pur senza esperienza pregressa nel profittevole settore dei prodotti sanitari nel pieno dell’emergenza pandemica, pur di aggiudicarsi un corrispettivo “milionario” di 6 milioni di euro - pagato in anticipo dall’Ente rispetto alla consegna dei beni – sono accusati di aver corrotto il dirigente medico per favorire l’aggiudicazione del contratto di fornitura di oltre 4 milioni di mascherine, di aver sfruttato la complicità dell’ingegnere dell’Ausl deputato ai controlli anche dinanzi a documentazione priva di validità, arrivando poi a falsificarne i contenuti e ad autoprodurre etichette CE da applicare sulle scatole dei prodotti importanti dalla Cina.
La non genuinità dei prodotti fu acclarata, all’epoca dei fatti, dagli accertamenti tecnici di laboratorio, che dimostrarono l’assoluta inidoneità delle mascherine - in termini di capacità filtranti - ad essere impiegate in ambito sanitario e per contrastare la diffusione del virus.
Secondo il Tribunale della Libertà di Bologna, inoltre, i due imprenditori hanno dimostrato “spregiudicatezza” nell’approfittare di una drammatica emergenza sanitaria per lucrare in un delicato settore di affari relativo alla salute pubblica, trovando sponde interne all’ente pubblico, e senza timori per la salute di quanti avrebbero potuto indossare detti dispositivi all’interno delle corsie ospedaliere, in un momento di emergenza pandemica (dispositivi a tutt’oggi sotto sequestro).
In questo ultimo capitolo, la Suprema Corte ha dunque riconosciuto la certosina ricostruzione dei fatti contestati, dalle fasi iniziale di “scelta del contraente” sino agli accertamenti della polizia giudiziaria.
Redazione Pressa
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