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E' notizia di ieri che la 101esima divisione aerotrasportata Usa è stata dispiegata in Europa per la prima volta dalla Seconda guerra mondiale: ben 4.700 soldati della divisione sono in Romania, a pochi chilometri dall'Ucraina, pronti - come ha spiegato il generale Lubas - 'a difendere ogni centimetro del territorio della Nato'. Sempre ieri il presidente Usa Joe Biden ha salutato il giuramento a premier di Giorgia Meloni affermando di 'non vedere l'ora di continuare a promuovere insieme il sostegno all'Ucraina e di ritenere la Russia responsabile della sua aggressione'. Tradotto: Biden non vede l'ora di continuare ad armare l'Ucraina e avverte l'Italia di non osare alcuna deroga rispetto a questa linea.
Ora che la Russia di Putin abbia aggredito l'Ucraina non vi sono dubbi, ma davvero questa narrazione che contrappone i 'buoni' (l'Occidente e la Nato) contri i 'cattivi' (la Russia e la Cina) è un modo per avviare un percorso di Pace, o, quantomeno, per rendere giustizia alla realtà? Davvero il quadretto da Mulino Bianco che vorrebbe il presidente Usa difensore di diritti e democrazia nel mondo (dal Vietnam all'Afghanistan) e quello russo portartore di caos e tirranide è credibile? Cancellare e demonizzare ogni analisi sulla genesi del conflitto, ogni tipo di ricerca sulle motivazioni che hanno spinto Putin alla azione militare è un modo onesto di procedere? Ma c'è di più. Dividere il mondo in buoni e cattivi, aderire in modo acritico alla narrazione statunitense, ripetere quasi sotto dettatura gli slogan imposti dalla Nato, siamo certi sia il modo corretto per interpretare la stessa posizione atlantista italiana?
Il paradosso è che questa linea decisamente bellicista, questo cieco invio di armi all'Ucraina in nome di una presunta superiorità morale dell'Occidente rispetto al 'demone russo' si coniuga con la retorica del 'lavorare per la pace'. Un modo per negare la realtà, per presentare ai cittadini (che secondo i sondaggi non sono affatto d'accordo con l'invio di armi) un quadro a tinte forzatamente rosa. Il sepolcro della propria pulsione bellicista imbiancato con la giustificazione della lotta tra il Bene e il Male.
Un approccio seguito da Draghi e oggi ereditato in modo pedissequo dalla Meloni, non solo illogico e paradossale, ma anche pericoloso. Perchè è evidente che il continuare a insistere su elementi morali invece di puntare a un dialogo vero fondato sulla diplomazia e - certo - sul compromesso, è un modo per allontanare ogni prospettiva di Pace e avere come unico orizzonte per la fine della Guerra la sconfitta militare di una delle due parti in causa. Uno scenario che con ogni probabilità aprirebbe davvero le porte all'olocauso nucleare.
Qui non si tratta di scelte di comodo elettoralmente convenienti, non si tratta di aderire alla giravolte Pd, ieri strenuo difensore dell'invio di armi, oggi in piazza per chiedere la Pace.
Per cercare altre strade, per tentare di smarcare il nostro Paese dall'appiattimento su scelte compiute Oltreoceano provando a influire su di esse in un dialogo alla pari invece di subirle, occorre partire dalla constatazione del reale. Occorre togliere la patina di bianco sugli abissi della realtà. Occorre dirsi in modo chiaro che oggi l'Italia è in Guerra. Siamo in guerra e la fiaba della ‘eroica resistenza Ucraina’ è solo un modo per aggirare l'articolo 11 della Costituzione che la Guerra la vieta. Di più. La ripudia. Siamo in guerra e nelle guerre i buoni e i cattivi si decidono dopo, alla fine. Quando chi ha vinto si autoproclama ‘giusto’. Prima è solo propaganda, da una parte e dall'altra.
Diciamocelo apertamente allora: siamo in guerra contro la Russia e in questa guerra non siamo ‘migliori’ per elezione divina, siamo solo una delle due parti in causa, la Russia ha la colpa di aver aggredito un Paese, ma la genesi di questa aggressione deve essere analizzata, la storia è complessa e le semplificazioni sono sempre strumentali.
Partiamo da questa constatazione e riponiamo la retorica morale e, forse, ci accorgeremo della follia che stiamo percorrendo. Forse avremo il coraggio di rivendicare davvero la nostra sovranità: non quella ridicola 'alimentare', ma quella che è scritta nella nostra carta d'identità di Paese pacifista.
Giuseppe Leonelli
Redazione Pressa
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