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C’è stato un tempo in cui la dicotomia destra-sinistra fondava le proprie radici in visioni distinte della società.
Lo spettro politico, allora, appariva razionale e, se essere di destra, volendo semplificare, significava abbracciare posizioni conservatrici e patriottiche, guardare a sinistra equivaleva a ragionare in termini progressisti e laici.
Nell’attualità, ammesso e non concesso che distinguere nettamente tra destra e sinistra abbia ancora senso, le vere differenze tra l’una e l’altra visione della vita sembrano dipendere sempre più da sclerotizzati preconcetti.
Così è, a ben guardare, soprattutto in materia di giustizia, se solo si considera che, ad una destra tutta Law & Order, sembrerebbe fare da contraltare una sinistra liberista che, spesso, si fa buonista.
Premesso che, al di là delle apparenze di facciata, nessuno dubita del fatto che il giustizialismo che caratterizza la presente epoca storica non abbia colore politico – basti considerare, in proposito, come i vari pacchetti-sicurezza succedutisi nel tempo siano stati varati tanto da governi di (centro-)destra quanto da governi di (centro-)sinistra –, il punto è che questi contrapposti modi di vedere la giustizia non sembrano cogliere nel segno.
Perché dimenticano, entrambi, che, al centro della scena della stessa, nel passare dalla teoria alla pratica, vi sono sempre le persone vere. E che, allorquando è di persone vere e, conseguentemente, di vite vere che ci si trova a ragionare, là, per questo solo, a fungere da bussola devono essere le regole. Così, se la certezza della pena tradizionalmente cara alla destra rappresenta certamente un valore (anche) costituzionale, si tratta, però, di comprendere a quale pena si intenda fare riferimento.
Perché, nell’ambito dello stato di diritto, pena non può significare pena “esemplare”, ma deve significare pena “legale” – vale a dire quella che, all’esito di un giusto processo penale, il giudice penale comminerà a chi sarà giudicato colpevole del reato al di là di ogni ragionevole dubbio –.
Parimenti, se la mitezza che, in specifiche situazioni, sembrerebbe caratterizzare la sinistra, in sé considerata, potrebbe pure essere salutata con favore, essendovi certamente membri della società «più trascurati [di altri] nella divisione dei beni che fa il caso» (Victor Hugo), va, però, considerato che ciò non può giustificare anche chi, in nome di sue proprie visioni del mondo pretesamente valoriali, pretende di violare impunemente la legge, per esempio “rubando” le case altrui. Nel mezzo, non così spesso evocato e sovente bistrattato, in ogni caso, dovrebbe stare il garantismo. Vale a dire il rispetto delle regole.
Non solo perché il garantismo è parte integrante della cultura della legalità che destra e sinistra, pur diversamente declinando il pensiero, certamente perseguono. Ma anche perché, nell’ambito di un sistema che, come il nostro, risulta imperniato sull’articolo 27 Costituzione e, dunque, sulla presunzione di non colpevolezza, essere garantisti è un dovere costituzionalmente imposto. Se così fosse – se la cultura garantista esistesse davvero, cioè e occupasse davvero il centro della scena della giustizia –, ben diversi sarebbero gli approcci in materia.
In primis, perché si arriverebbe finalmente a comprendere che la giustizia è giustizia e che, in quanto tale, la stessa non è – e non può essere – né di destra né di sinistra.
Si prenda, per esempio, il dibattito in materia di carcere che, ancora in questi giorni, ha infiammato la politica anche a livello locale.
Il carcere – questo carcere – non funziona. Viola la Costituzione. Viola la legge ordinaria. Produce recidiva e, soprattutto e prima ancora, disperazione. Le condizioni carcerarie italiane sono oggettivamente inaccettabili.
E lato detenuti – 61 suicidi in 8 mesi non possono essere né giustificati né tollerati – e lato agenti di polizia penitenziaria.
Eppure, nel dibattito in materia, invale – e pesa –, ancora oggi, il preconcetto che sia onere della destra ragionare di condizioni carcerarie avendo riguardo agli agenti di polizia penitenziaria e che sia onere della sinistra ragionare di condizioni carcerarie avendo riguardo ai detenuti.
Dimenticando con ciò che, allorquando si ragiona di carcere, le persone vere che vengono in rilievo sono tanto quelle che ivi scontano la pena quanto quelle che ivi prestano il proprio servizio.
Perché tanto le une quanto le altre ciò fanno in condizioni parimenti inumane e degradanti. Quando si parla di giustizia e specialmente di carcere, in altre parole, non c’è – o non ci dovrebbe essere – né destra né sinistra. Ma ci sono – o ci dovrebbero essere – le regole. Quelle, (anche) di civiltà, che lo Stato italiano, ragionandosi di carcere, quotidianamente viola.
Non comprendere questo, dal punto di vista politico, significa perdere un’occasione importante. Per maturare politicamente.
Tanto a destra – avendo la destra di governo la fortuna di poter contare su capacissimi ministro e viceministro della giustizia – quanto a sinistra.
E per inaugurare una stagione della giustizia finalmente moderna e finalmente in linea con quanto previsto dalla nostra Costituzione.
Guido Sola
Redazione Pressa
La Pressa è un quotidiano on-line indipendente fondato da Cinzia Franchini, Gianni Galeotti e Giuseppe Leonelli. Propone approfondimenti, inchieste e commenti sulla situazione politica, .. Continua >>