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Ucraina, ora intervenga l’Onu con un cessate il fuoco immediato

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Il primo risultato, sarebbe fermare le morti e far sbollire gli ardori di tutti i contendenti; il secondo, chiuderebbe la partita dignitosamente per entrambi


Ucraina, ora intervenga l’Onu con un cessate il fuoco immediato
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Si continua a discutere molto in Italia sulla questione armi pesanti all’Ucraina, che è proposta, insieme alle sanzioni, quale strumento per costringere la Russia a sedersi al tavolo della pace.
La strategia è chiara ed è quella che Reagan adottò durante l’occupazione sovietica dell’Afghanistan: continuare a rifornire di mezzi e denaro la resistenza, finché per l’aggressore non sia più sostenibile mantenere vivo il conflitto e decida di rientrare all’interno dei propri confini.
L’Occidente, quindi, punta ad una resa di Mosca, strangolata militarmente ed economicamente con le sanzioni, mentre forze fresche continuano a raggiungere l’Ucraina.

La prima considerazione da fare è che, in questo caso, il conflitto non si concluderebbe a breve, per il semplice fatto che la Russia non è uno staterello con un piccolo esercito, armi costruite da altri e non sostituibili e un’economia modestamente autonoma.

Se volesse, potrebbe dichiarare guerra ufficialmente a Kiev e mettere sul campo tutti gli uomini e i mezzi a disposizione. Per la Guerra del Golfo, quando l’Iraq invase il piccolo Kuwait, l’America inviò 500 mila Marines con ogni sorta di mezzi e armi; per l’invasione dell’Ucraina, che è circa due volte l’Italia, Putin ha impiegato 170 mila uomini a combattere contro 150 mila soldati regolari ucraini, compreso il noto Battaglione Azov, e un numero imprecisato di mercenari. Chiunque abbia letto qualche basico manuale di strategia militare, sa che la vittoria sul campo e la conquista di un territorio da parte della fanteria, necessita di un rapporto di 1 a 4; ne consegue che Putin avrebbe dovuto schierare 600 mila uomini e non 170 mila.

Questa operazione bellica passerà alla Storia come la prima nella quale l’arma più efficace è stata la comunicazione e come quella delle scelte illogiche, già negli obiettivi proposti: dalla difesa delle due Repubbliche indipendentiste del Donbass, che aveva una sua logica e obbligatoriamente avrebbe posto la situazione di Lugansk e Donetsk all’attenzione del mondo, ad una ipotetica e poco chiara denazificazione di uno Stato, con un esercito russo che vaga nella pianura ucraina, conquista città e le perde perché si dirige da un’altra parte, spara a vista contro tutto e tutti e, macchiandosi di crimini ingiustificabili, rafforza sempre più la resistenza e lo slancio emotivo dell’Occidente verso gli eroici ucraini.

Come già sottolineato, è presumibile che la partita durerà ancora a lungo: Mosca è una superpotenza con un arsenale imponente e la sua economia può soffrire, ma non crollerà mai: da anni si è impegnata in una politica di autarchia; esiste una parte del mondo con la quale commerciare e che non vede l’ora di farla pagare ad Americani e Inglesi per tutti i soprusi subiti e la Russia è patria di tutte le principali materie prime, dal gas al petrolio ai metalli per la produzione elettronica.

Come uscirne? Questa è la domanda che rimbalza in tutti i talk-show e nei programmi di approfondimento e alla quale non si sa cosa rispondere con precisione. I più atlantisti, capeggiati naturalmente dagli Stati Uniti, vogliono la sconfitta di Putin e il forte ridimensionamento economico e militare della Russia: in fondo, e nell’opinione personale, l’America ha cercato questo scontro da combattersi con i soldati ucraini al posto dei Marines proprio per tale scopo. Putin ha già risposto che dal Donbass e dalla Crimea non se ne andrà mai, perché ha promesso di difendere i russi che dal 2014 hanno subito da Kiev ogni sorta di violenza, nell’indifferenza dell’Europa, soprattutto. Resta la speranza di un colpo di Stato al Cremlino, che aprirebbe una partita diversa, o che qualche malattia intervenisse a mettere da parte Putin. In molti sospettano che il Presidente russo abbia il cancro e sia questa la ragione delle sue ultime decisioni piuttosto illogiche, certamente non da campione di scacchi. Forse, sono più speranze che altro, ma esisterebbe una via d’uscita, che risolverebbe anche il problema del “dopo conflitto”.

Supponiamo che la Russia si ritiri e tutta la terra dell’Ucraina rientri sotto Kiev, compresa la Crimea e il Donbass. Russofoni e russofili, massacrati per otto anni da Zelensky e predecessori, tornerebbero miti all’ovile chiedendo scusa per aver chiesto aiuto ai Russi e scatenata tante morte e distruzione? Il battaglione Azov, che già ha pestato duro in quelle terre e in tempo di pace, garantirebbe sicurezza a queste persone o si riprenderebbe quella sorta di pulizia etnica iniziata nel 2014? Le possibilità sono ampie. E allora, come uscirne? Cosa fare per garantire pace anche in futuro? Quali decisioni, per proteggere i civili che non si riconoscono nelle politiche di Kiev?

Una soluzione ci sarebbe ed è quella ipotizzata da Giorgio Cremaschi: intervenga l’ONU con un cessate il fuoco immediato e il congelamento delle attuali posizioni militari per sei mesi. Sempre sotto il controllo dell’ONU, con i Caschi Blu e personale messo a disposizione dagli Stati che non si sono schierati a favore di nessuno dei due contendenti, si proceda ad un referendum per comprendere da chi vogliono essere governati i cittadini della Crimea e del Donbass: Kiev, un proprio governo indipendente o Mosca? Il popolo non ha forse il diritto democratico di scegliere il proprio destino e da chi vuole essere governato?

Il primo risultato, sarebbe fermare le morti e far sbollire gli ardori di tutti i contendenti; il secondo, chiuderebbe la partita dignitosamente per tutti i duellanti. Se nel Donbass si volesse proseguire ad essere Repubbliche indipendente, a Zelensky si toglierebbe qualsiasi pretesa, come la si toglierebbe a Putin in caso contrario. Stessa cosa per la Crimea. E per la ricostruzione? In ogni caso a spese della Russia, che è stato l’aggressore.

In una trasmissione televisiva, è stato proprio Cremaschi a proporre questa soluzione ad una rappresentante del governo di Kiev la quale non ha voluto prenderla neppure in considerazione. Naturalmente anche gli Stati Uniti, nonostante le parole della loro Dichiarazione d’Indipendenza, sarebbero contrari: tutti i loro piani di geopolitica applicata potrebbero saltare. Forse Putin sarebbe disposto ad ascoltare: potrebbe essere una via d’uscita onorevole e se accettasse, tutta la responsabilità di un proseguimento del conflitto ricadrebbe sulle spalle di Biden e sodali, che non avrebbero giustificazioni. Per quel poco che può valere, bravo Cremaschi: parole d'intelligenza e moderazione in mezzo a troppi virilismi e inutili banalità. Personalmente avrei voluto ascoltarle da Silvio Berlusconi. Ci speravo... e, a questo punto, dubito che qualcuno abbia il prestigio e il coraggio d'opporsi alla visione guerrafondaia di Putin, Biden e Zelensky. L'Uomo resta convinto che le guerre, e non le parole, siano le soluzioni ai suoi contrasti.

Massimo Carpegna

Massimo Carpegna
Massimo Carpegna

Visiting Professor London Performing Academy of Music di Londra. Docente di Formazione Corale e del master in Musica e Cinema presso Istituto Superiore di Studi Musicali Vecchi Tonelli..   Continua >>



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