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“Quel Prefetto è un coniglio” e “Quando vado a Roma chiedo la sua testa”. Queste sono solo due delle frasi riportate ieri da L’Espresso e pronunciate, stando alle carte dell’inchiesta, dal senatore Carlo Giovanardi. L’attuale parlamentare modenese di “Idea” è indagato, assieme ad altre 11 persone dall’antimafia di Bologna, per rivelazione di segreto e minaccia a corpo amministrativo dello stato in relazione ai fatti della nota inchiesta Aemilia. A Giovanardi viene anche contestata la aggravante di aver agevolato la ‘ndrangheta che grazie alla società Bianchini era entrata nel giro di appalti contestati. I titolari dell’azienda sono a loro volta imputati per concorso esterno in associazione mafiosa a Reggio Emilia insieme ai principali esponenti emiliani della mafia calabrese. Ma tornando a Giovanardi, gli inquirenti sostengono che abbia esercitato pressioni e minacce su prefetti e Forze dell’Ordine per salvare proprio gli imprenditori imputati.
Passaggio chiave di questa teoria quanto successo il 18 ottobre 2014, giorno in cui Giovanardi incontrò nel suo ufficio modenese i Bianchini i quali, registrando i dialoghi di quel giorno, ammettono di aver avuto più di una volta rapporti commerciale, con false fatturazioni, con pezzi grossi della ‘ndrangheta oltre ad aver assunto operai tramite un boss calabrese. Questi fatti, nella tesi dell’accusa, avrebbero dovuto rendere consapevole delle relazioni pericolose degli imprenditori modenesi il senatore, che invece avrebbe continuato nel proprio tentativo di salvare l’azienda attaccando l’allora Prefetto ed anche i Carabinieri di Modena.
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Redazione Pressa
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