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La politica al governo di Regione, Provincia e Comune di Modena vede alternarsi da decenni anni non solo la stessa parte politica ma di fatto gli stessi nomi. Legati ed espressione dello stesso partito. Nomi ai quali va attribuita la responsabilità di scelte che in campo sanitario, urbanistico, infrastrutturale, sociale ed economico hanno segnato, nel bene e nel male, il destino del territorio modenese. Dall'alta velocità, al polo dei rifiuti (con l'inceneritore e una delle discariche più grandi d'Italia), al rischio idrogeologico, al tema delle politiche sanitarie che con la scelta di realizzare il secondo grande ospedale della città di Modena, a Baggiovara, e con l'approvazione del Pal, nel 2011, ha innescato un processo di fatto irreversibile di impoverimento della rete sanitaria provinciale. Partito con la chiusura dei presidi territoriali e dei pronto soccorso della montagna e della Bassa, da Fanano a Finale Emilia, passando per Castelfranco.
Creando uno squilibrio sempre più evidente, se consideriamo anche l'ospedale di Sassuolo, tra la concentrazione di strutture ospedaliere nel raggio di 15 km dal centro di Modena e quello dei servizi garantiti in provincia. Dalla bassa all'appennino. Pur in uno scenario di impoverimento della rete provinciale derivato anche dall'assorbimento di risorse provocato prima dalla realizzazione e dal mantenimento in opera di entrambi i grandi ospedali, di Baggiovara e del Policlinico di Modena (dal 1995 gestiti sotto un unica azienda Ospedaliera Universitaria, sganciata dall'Azienda USL), l'indirizzo politico sembrava (ma non si dimostrò tale) quello di mantenere quantomeno due ospedali di riferimento per l'area sud (montagna), a Pavullo e per l'area nord (bassa), a Mirandola.
Per Mirandola e per l'area nord si parlava, anzi si progettava addirittura un ospedale di area, unico, quello di Mirandola, potenziato che avesse dimensioni e funzioni di un Policlinico territoriale.
A sette piani. Tutto nero su bianco, con tanto di pubblicazioni firmate dagli allora referenti della sanità modenese ed emiliano romagnola. Giuliano Barbolini e Giancarlo Muzzarelli. E qui si ritorna all'eterno ritorno dei nomi dei politici PD in un sistema di porte (e poltrone), girevoli. Entrambi poi diventati sindaci di Modena, per 20 anni al governo della città (trenta se aggiungiamo la parentesi Giorgio Pighi). Giuliano Barbolini, oltre a dieci anni sulla poltrona di sindaco di Modena fu assessore regionale alla sanità, presidente della provincia, poi senatore e recentemente nominato alla presidenza di ERT. Giancarlo Muzzarelli, negli ultimi dieci anni sindaco di Modena, già Vicepresidente della provincia (con competenze anche su tutela del territorio), già assessore regionale alle attività produttive (promise ripetutamente la Cispadana dal 2007, la complanarina di Modena nel 2003). Nel 1994, assessore provinciale alla sanità oltre che, come sindaco di Modena, anche presidente della CTSS, Conferenza Territoriale Socio Sanitaria organismo politico da cui passano le politiche della sanità provinciale modenese. Era vicepresidente della Provincia quando si decise che il treno Alta Velocità anziché attraversare Modena avrebbe dovuto evitarla, passando nel mezzo della discarica Hera. Poi, appunto, la sanità. Un ruolo, in campo sanitario, che a livello provinciale, Muzzarelli ha sempre tenuto ben stretto. Dal 1995, appunto, quando era assessore provinciale alla sanità. E fino agli ultimi anni, anzi mesi. Due mesi fa, quando dopo essere decaduto da sindaco, è stato sostituito alla presidenza della Conferenza Territoriale Sociale Sanitaria da Massimo Mezzetti.
Un Giancarlo Muzzarelli non più sindaco, ora senza ruoli e incarichi, che dopo avere lasciato piazza Grande e ritornato al suo paese, Fanano, ha iniziato subito la sua campagna elettorale,per le regionale, non nascondendo l'ambizione di essere rieletto in Regione e, magari, ottenere l'incarico in un eventuale governo De Pascale, di Assessore. In particolare, alla sanità. Dove il cerchio si chiuderebbe. Perché lo porterebbe ad occuparsi nuovamente di quelle stesse politiche e di quelle scelte anche da lui attuate, o sconfessate, negli anni '90. Tra queste la promessa tradita di realizzare anche un grande ospedale della bassa, potenziando il presidio di Mirandola. Le cose, nonostante il colore politico del governo della Regione e di Modena sia rimasto lo stesso, con molti stessi nomi (tra questi, per Mirandola e Modena, non si può non ricordare quello di Palma Costi, assessore comunale a Modena nella giunta Barbolini, poi consigliere regionale), non sono andate così. E a riassumere e a ripetere da tempo questa storia di politica sanitaria che a Modena ha portato a 3 grandi ospedali nel raggio di 15 km e all'impoverimento e alla cancellazione dei presidi ospedalieri a nord e sud di una provincia che si estende per oltre 100 km, è stato Ubaldo Chiarotti che sulla difesa dell'ospedale di Mirandola e la promozione dell'ospedale della bassa ci ha speso una mezza vita. Fatta di disillusioni e illusioni tradite dalla politica al governo regionale, provinciale e comunale.
Oggi e da 5 anni a questa parte l'idea dell'ospedale unico baricentrico tra Carpi e Mirandola, tradita dai governi PCI-PDS-DS-PD è riemersa nel programma del centrodestra al governo di Mirandola negli ultimi 5 anni e riconfermata ora con l'elezione di Letizia Budri. Un'idea che a fatica riesce a farsi spazio e a resistere allo tzunami della politica regionale che ha scelto di individuare di fatto il baricentro della sanità dell'area nord a Carpi, sostituendo, per ora ancora sulla carta, il fatiscente ospedale con un grande ospedale di area ma spostato più verso i centri della bassa reggiana che quella di Modena. Segnando definitivamente il destino dell'ospedale di Mirandola. Tradendo, appunto, il sogno di un grande ospedale della bassa modenese, capace di garantire i servizi ad un bacino di circa 85.000 persone residenti nei comuni dell'area nord. Una sorta di policlinico della bassa con reparti distribuiti su sette piani. Non si andò oltre al quarto piano e la storia degli anni successivi è una sorta di sottrazione di servizi, compreso punti nascita, e posti letto. Un processo che ha avuto una accelerazione subito dopo il terremoto, quando chiusero reparti e servizi e vennero trasferiti con la promessa di un rientro che, dopo dieci anni, per molte parti, non è ancora avvenuto. Prima del terremoto ad oggi i posti letto previsti da oltre 200, ovvero 247 se consideriamo anche Finale, sono passati effettivi, garantiti a 101.
Nel video La Pressa che riproponiamo di seguito il riassunto di Ubaldo Chiarotti, presidente del Cmitato Salviamo l'ospedale della Bassa
Gi.Ga.