Decine di cavità nell'argine del Panaro: l'anomalia visibile dopo lo sfalcio

Nel tratto alle porte di Modena, a circa un chilometro dal punto di rottura del dicembre 2020

La manutenzione dell'argine del fiume Panaro, alle porte di Modena in direzione nord, almeno in termini di sfalci, pulizia e percorribilità della sommità, anche con mezzi a quattro ruote o, nel caso, di mezzi attrezzati, offre oggi anche una percezione di sicurezza. Così come del resto la offriva, anche agli occhi degli sperti, quel tratto al confine tra i comuni di Modena a Castelfranco, in località Bagazzano, che nella notte di domenica 6 dicembre 2020 si ruppe, dando origine all'alluvione che colpi Nonantola.
Una manutenzione, accellerata a macchia di leopardo dopo l'alluvione di Bastiglia e Bomporto provocata dalla rottura dell'argine del Secchia del 2014 nel Comune di Modena, che ha reso i tratti di argine alle porte di Modena sia del Secchia che del Panaro, sagomati e puliti, per un dislivello di almeno 4 metri nel lato interno. A regola d'arte.
Anni ed opere di manutenzione che hanno comportato anche il rinforzo, con l'utilizzo di massi, di diversi tratti maggiormente colpiti dalla pressione dell'acqua e dalla conseguente erosione in caso di piena. Dove fino ad alcuni anni fa, prima del 2014, a causa di un sostanziale abbandono degli argini, la vegetazione spontanea anche di grosse dimensioni copriva letteralmente la superficie, oggi ci si trova di fronte ad un tappeto di erba che consente di camminare, complici anche le scarse precipitazioni del periodo, anche nel tratto interno dell'argine.
Domenica lo abbiamo percorso sul lato destro, salendo all'altezza del cimitero di Saliceto Panaro e dirigendoci dall'interno in direzione nord, nel tratto compreso tra il riferimento Stante Aipo n. 12 fino al n. 19.
E' all'altezza di quest'ultimo tratto, a circa un chilometro e mezzo da quello che si ruppe nel dicembre 2020 che notiamo un fenomeno anomalo.
Una serie di cavità, più o meno nascoste dall'erba di sfalcio, sul lato interno dell'argine, dove l'acqua potrebbe arrivare in caso di piena e, come visto nel dicembre 2020, nonostante l'azione regolatoria del flusso a monte esercitato dal sistema delle casse di espansione in località San Cesario sul Panaro. Buche apparentemente non profonde, ma tali da costituire una anomalia di quel tratto. Non siamo tecnici né geologi in grado di comprendere l'origine di queste cavità che si spingono all'interno dell'argine. Fatto sta che l'anomalia sicuramente particolare c'è. La presenza di apparati radicali marciti all'interno dell'argine dopo le grandi opere di sfalcio, di taglio e di pulizia degli stessi era già emersa come un problema in parte anche all'origine delle cavità emerse dall'analisi della commissione tecnica regionale chiamata a spiegare le cause della rottura del tratto di argine distante da quel punto di poco più di un chilometro. Dove la storia degli ultimi 60 anni ha registrato circa 5 rotture.
Non sappiamo se si possa trattare di un fenomeno analogo, e non sta a noi accertarlo, fatto sta che l'anomalia in quel tratto rispetto a quelli che precedono e seguono c'è ed è visibile e lasciamo agli esperti e agli organi competenti di verificare l'origine e l'eventuale rischio.
Il tratto del Panaro a valle della cassa di espansione e della Fossalta e fino al punto di rottura del dicembre scorso emerge come uno dei più vulnerabili, nonostante l'azione regolatrice del livello dell'acqua esercitato dalle casse di espansione. In particolare il tratto di circa due chilometri al confine tra i comuni di Modena e Castelfranco, comprendente anche il punto della rottura del dicembre 2020 è stato interessato da 5 rotture dagli anni '60 ad oggi. La relazione della commissione tecnica regionale istituita per accertare le cause della rotta del 2020, mise in luce la fragilità strutturale dell'argine (in quel caso lato sinistro), derivante anche dalla composizione, insieme a terra, di antichi resti di demolizione e di cavità generate da tane di animale storiche e antichi apparati radicali.
Gianni Galeotti
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