So che Enrico Benini mi leggerà con dolore. Ha dichiarato che a Modena vuole un cambiamento. Speriamo! Se ci sarà, anche in futuro non farà sconti a nessuno. Se è così il dolore, rimane, ma non sarà privo di comprensione. E’ un problema di cultura. Di capacità politica. Di serietà. L’unità d’Italia risale al 17 marzo 1861. La data si può non ricordare. A condizione di aver ben presente che l’Italia è l’insieme di Stato, Regioni, Città metropolitane, Province e Comuni. Governare vuol dire stabilire un equilibrio nella distribuzione delle risorse su tutto il territorio. Siamo una nazione, perdio. Dico questo perché mi accingo a riportare le testuali parole scritte da un candidato modenese della Lega che invita a votarla. Voglio pensare che si sia espresso a titolo personale. L’uso dell’emblema del Carroccio dice che essendo parole scritte sotto il simbolo della Lega, la coinvolgono. Ciononostante, le possiamo benevolmente considerare pronunciate all’insaputa del gruppo dirigente.
Si tratta di una dichiarazione frutto d’incapacità politica e totale assenza di cultura della stessa. La qual cosa in un candidato mette preoccupazione. Il mio auspicio è che i dirigenti modenesi si dissocino da un concetto politico da clientela napoletana insopportabile anche all’epoca di Achille Lauro e Antonio Gava. “Non pensate che – ha scritto testualmente il novello del Carroccio - con la Lega ad amministrare la Città, Modena avrà un rapporto privilegiato con il governo centrale, otterrà finanziamenti e risorse di vario genere? Ecco una suggestione che dovrebbe far riflettere”.
E’ certo che fa riflettere … Invitare a votare un partito e il suo candidato sindaco perché in questo momento ha gli amici al governo, e quindi può favorire un territorio in modo clientelare e al di fuori di ogni ragionevole programmazione nazionale di equilibrio tra risorse e bisogni del Paese, è a dir poco frutto di un’idea clientelare malata. Illudere l’elettore dicendo che “avrà un rapporto privilegiato con il governo centrale”, e quindi ”otterrà finanziamenti e risorse di vario genere” è una concezione propria di una mentalità politica dozzinale e di una cultura da basso impero declinante nel più becero clientelismo.
Senza considerare che fare i conti sulla lunga durata di questo governo è abbastanza azzardato. Per questo la citata garanzia è da imbonitore. Per dirla con le parole di Giuseppe Leonelli: “Una volta si aspettava Godot, ora si aspetta la scarpa sinistra... perché Godot nemmeno si sa chi è.
Un sindaco, normalmente, dura in carica cinque anni. I governi sono sempre stati “ballerini”. Dal primo presidente, Alcide De Gasperi, a oggi hanno avuto una durata di poco più di un anno e l’attuale, presieduto da Giuseppe Conte, è il sessantacinquesimo in poco più di settant’anni. Un sindaco e il suo partito si votano se si crede nella loro capacità politica. Nella loro onestà. Nei loro indirizzi programmatici e non per gli amici che hanno al governo. Una politica governativa che elargisce finanziamenti a un territorio, per appartenenza a un partito, è stata messa in essere dalle peggiori clientele e ha prodotto solo disastri: ponti su strade senza sbocco, centri sportivi mai inaugurati, autostrade inutili o mai finite, opere pubbliche di tutti i generi finanziate pur di accontentare i politici del territorio che avevano garantito agli elettori la compiacenza del governo amico.
Il Pd con il suo presidente regionale campano, Vincenzo De Luca, in occasione del referendum del 4 dicembre 2016 ha fatto di peggio.
Adriano Primo Baldi
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