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'Marchionne non è un santo. E' un manager e in questo è bravo'

'Marchionne non è un santo. E' un manager e in questo è bravo'

Boschini sottolinea anche, giustamente, un aspetto che è realtà e cio? la sgradevole sensazione di una celebrazione funebre a personaggio ancora in vita


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Tra le mille riflessioni di queste ore sulla figura di Sergio Marchionne ci permettiamo di riportare integralmente quella pubblicata sul suo profilo Facebook dal consigliere regionale Pd Giuseppe Boschini. Un racconto che restituisce un po' di modenesità a questo manager (nella foto la visita di Marchionne al Mef a febbraio 2017 con Piero Ferrari e Giancarlo Muzzarelli) che ha cambiato una fetta dell'economia italiana.
Una riflessione che riportiamo anche perchè sottolinea un aspetto che è comunque realtà e cioè la sgradevole sensazione di una celebrazione funebre a personaggio ancora in vita. E per questo, anche nel titolo, non è giusto oggi usare l'imperfetto, ma il presente. 
Non credo che Sergio Marchionne vada santificato (anche perché tutti ne parlano come se fosse già morto... Facciamogli gli auguri, intanto).
Ha fatto il suo lavoro di manager, che non è quello del sindacalista. Ad ognuno il suo. Ecco perché va riconosciuto che il manager l'ha fatto. Bene. Se anche si è fatto forte di fondamentali supporti pubblici, non si può dire che il risultato non ci sia stato. E il risultato sono migliaia e migliaia di posti di lavoro salvati, soprattutto in Italia, dove la FIAT sembrava davvero bollita definitivamente.
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Altri prima di lui hanno avuto il supporto pubblico, e non ne hanno tratto fuori niente. Anche in Fiat.

Lui ha avuto visione e coraggio, e capacità. L'affamatore dei lavoratori di Pomigliano o di Melfi, si dirà. Ribadisco, non credo sia un santo e ha tirato l'acqua al mulino dell'impresa, come del resto è logico nel suo ruolo. Nemmeno dall'altra parte ci sono dei santi, del resto. E' la dialettica delle relazioni industriali e dei loro conflitti.

Ma se c'è una riflessione che mi resta, anche aperta, sulla sua parabola, è questa: qual è la strada per il futuro delle manifatture occidentali, nella stagione della concorrenza asiatica (e, in futuro, afro-asiatica)?

Sono gli alti costi del lavoro occidentale?  Le tutele rigide? La flessibilità bruta? L'abolizione di tutele storiche? Viene prima lo sviluppo, da cui conseguono i diritti? Esistono i diritti, nella realtà concreta, senza sviluppo? Che rapporto tra diritti e produttività?

Ecco, la parabola di Marchionne ha sempre posto problemi di questo tipo. Che sono poi i problemi cui deve dare risposta seria, non preconcetta, una sinistra moderna, se vuole anche solo avere il diritto di esistere. Problemi non banali, sui quali discuto spesso, ma non mi trovo la risposta in tasca bella facile.
E non invidio chi ce l'ha, o dice di averla.  Perché l'ho sempre trovato dogmatico.

Sia quando difende un modo di lavorare che non produce più, e quindi non può nemmeno garantire diritti, perché fa fallimento. Sia quando difende una deregulation disumana ad ogni costo. Ai posteri la sentenza nel dire se Marchionne l'equilibrio tra queste due esigenze l'ha trovato, e a che livello, e se si poteva far meglio.

Secondo me non era affatto banale trovarlo, un simile equilibrio, e credo che oggi -in un bilancio che gli auguriamo non definitivo- gli vada riconosciuto di averci provato. Penso che sia una sfida da raccogliere, e -magari con soluzioni diverse- chi saprà indicare la strada nel dilemma che Marchionne ha affrontato negli ultimi 15 anni ha in mano una carta fondamentale per il futuro (politico, e non solo) di questo povero paese.

Giuseppe Boschini

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