Modena, le disuguaglianze vanno contrastate fin dalla prima infanzia
Iniquo sistema di separazione dei bambini, dovuto alle diverse tariffe di frequenza e, quindi, alle condizioni economiche delle famiglie
Sulla qualità dei servizi educativi di Modena, nulla da dire; la nostra città ha una lunga storia, segnata da assessori, pedagogisti e operatori di qualità.
In diverse occasioni e senza posa (La Pressa: 2 settembre 2019, 7 gennaio, 13 febbraio, 29 aprile, 11,13, 15, 20, 22 e 26 maggio e 1 settembre 2020, 15 gennaio 2021, 24 gennaio 2022, 21 gennaio 2025) ho però denunciato come le nostre scuole dell’infanzia non siano assolutamente inclusive.
La causa principale di questa situazione è lo spezzettamento del sistema, composto da scuole statali, comunali, della fondazione Cresciamo e dal variegato campo delle paritarie (FISM; cooperative, privati...) Ognuno di questi spezzoni ha un proprio sistema tariffario: gratuite (salvo il pasto) le statali, a prezzo medio le comunali, quelle della fondazione e una parte delle altre, a costi alti, le restanti.
Il risultato è sotto gli occhi di tutti: le scuole dell’infanzia statali sono frequentate esclusivamente (o quasi) da alunni stranieri, quelle nella “terra di mezzo” dai figli del ceto medio modenese; quelle più costose dai Vip cittadini. Eppure la Costituzione, tanto spesso declamata dalle nostre parti, recita chiaramente:
Art. 3. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese.
Art. 33. La Repubblica… istituisce scuole statali per tutti gli ordini e gradi.
Ma perché questo non accade nella scuola primaria ed in quella secondaria? Semplicemente per il fatto che, in tali segmenti, le scuole sono tutte, o quasi, statali, così come vuole la costituzione e, quindi frequentate da alunni di qualsivoglia religione, provenienza e ceto socioeconomico; e così dovrebbe essere anche per quelle dell’infanzia, come moltissimi comuni italiani hanno già fatto.
Se così fosse, si otterrebbe anche un fruttuoso giovamento al bilancio comunale su cui il costo diretto (scuole comunali) e indiretto (fondazione Cresciamo e contributi sostanziosi alle altre scuole paritarie) pesa gravemente, liberando risorse per altri servizi: nidi ed anziani, in primis.
Ora, non saprei, se, in questo contesto storico e politico, sarebbe possibile una dismissione graduale del sistema comunale (glorioso reperto degli anni d’oro per le politiche educative modenesi) e fondazione (frutto di decisioni prima urgenti e necessarie e poi sconsiderate); in altri anni, proprio a Modena, come già descritto nei miei precedenti articoli, ciò è avvenuto (passaggio dal tempo pieno comunale a quello statale, statizzazione dell’istituto tecnico Fermi e del liceo musicale). Ma al di là delle indubitabili difficoltà del percorso, quello che manca è la volontà politica.
Purtroppo, questo sistema di separazione dei bambini, dovuto alle diverse tariffe di frequenza e, quindi, alle condizioni economiche delle famiglie, di non inclusività e di cristallizzazione delle disuguaglianze, ora si ripropone anche durante l’estate, nei centri estivi che, ormai, sono “alla carta”, avendo, il Comune, da anni, dismesso i propri servizi che erano veramente inclusivi.
E i voucher, sia nelle scuole dell’infanzia che nei centri estivi, non sono altro che pannicelli caldi (di Berlusconiana memoria).
Franco Fondriest
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