Dopo aver letto le polemiche legate allo scoprimento prossimo di una lapide che ricorda i sovrani estensi di Modena che in gran parte sembrano il prodotto di spirito di parte e nulla a che vedere hanno con la Storia, quella con la S maiuscola, desidero intervenire per vedere se sia possibile giudicare ciò che è stato citato, “senza ira né pregiudizi”.Innanzitutto ritengo doveroso che si sia giunti all’apposizione di una targa che riconosca un fatto incontestabile: Modena, per come la conosciamo oggi, è anche frutto del governo delle due dinastie, l’Estense e l’Austro-Estense che l’hanno resa quella città che possiamo ammirare nel suo centro storico. In una nazione come la nostra, dove abbondano targhe di tutti i tipi e di tutte le epoche spesso assolutamente inutili quando non siano addirittura comiche, questa non è certamente superflua.L’unica critica sensata è il testo, scritto da un incompetente; dopo l’episodio di Parma quando il sindaco Pizzarotti scoprì una targa menzionante Federico II di Svezia, non ci possiamo meravigliare di nulla.Il nucleo polemico riguarda la figura dei due ultimi duchi, con citazioni di parte che storicamente sono già state riviste dagli storici “seri” e non da quelli “partigiani”.Manca del tutto il riferimento all’epoca in
cui si svolsero quegli eventi, la prima metà del XIX secolo, quando la mentalità dell’epoca era diversa da quella odierna, cosa che i detrattori dei duchi sembra ignorino.Dopo un periodo di calma successivo alla caduta definitiva di Napoleone, in cui l’Europa visse un periodo di relativa tranquillità (Spagna esclusa), il cambio dei governi britannici in senso più “liberale” e la rivoluzione che in Francia portò alla caduta di Carlo X a favore di Luigi Filippo, crearono (in particolare il secondo evento) preoccupazione in tutta Europa per la ripresa della politica francese che, dai tempi di Luigi XIV, desiderava espandere i territori fino al Reno e togliere l’Italia al controllo austriaco. Per carità, è la politica delle grandi potenze che così è sempre stata dai tempi dei Babilonesi fino a questi giorni. Quella parte della popolazione italiana di estrazione per lo più borghese, che agiva per cambiare la politica italiana con qualunque mezzo, divenne più attiva, mentre i governi degli stati italiani reagivano con la repressione degli atti più violenti. Pure queste sono azioni comprensibili e non si possono giustificare le une condannando le altre perché, e torno sull’aspetto degli studi storici, la Storia narra fatti ma non li giudica.In quell’epoca
assistemmo anche allo sviluppo delle linee commerciali con l’utilizzo delle macchine a vapore e l’apertura di nuove vie di comunicazione (il canale di Suez era già in fase di studio avanzato agli inizi dell’Ottocento). Qui entra in campo l’Italia, con la sua posizione centrale nel Mediterraneo, come teatro di scontro delle Grandi Potenze. La Francia vuole metterci uno stivale, la Gran Bretagna vuole prenderne il controllo e cambia politica passando all’appoggio al Regno Sardo, abbandonando quello borbonico dove Ferdinando II ebbe uno scontro violento con gli Inglesi a causa della sua volontà di rivedere lo sfruttamento delle miniere di zolfo siciliane a favore del proprio stato e non di compagnie estere.Tutti gli episodi citati, compreso quello della rivolta del Menotti, e i successivi, furono manovrati anche dall’estero, fossero i governi, la massoneria o altri non importa, con la consapevolezza o l’inconsapevolezza dei protagonisti. Ricordo anche che nel 1831, nella famosa notte in cui Ciro Menotti voleva occupare il palazzo ducale e prenderne in ostaggio la famiglia, all’intimazione del duca di arrendersi fu risposto con delle fucilate e al termine degli scontri, due dragoni rimasero uccisi; forse la loro vita non contava nulla?L’Austria, tra gli anni ’30 e ’40 del secolo
cercò, fallendo, di replicare la Confederazione Germanica con una similare in Italia e il progetto di confederazione stilato da Francesco V, con un chiaro intento anti francese, perché dalla Francia si temeva una nuova invasione, rientra nella questione. Chi avesse letto, seriamente, quel progetto, pur con alcuni punti d’ingenuità dovuti al carattere idealistico dell’allora giovane principe ereditario, mai potrebbe pensare di Francesco V che fosse un bieco reazionario, un tiranno, un malvagio. Del resto lo stesso Luigi Amorth, in “Modena Capitale”, scrive: “c’è nella vita di Francesco V, a differenza di quella del padre, del patetico, testimoniato anche dalle lunghe lettere da lui scritte in esilio ai suoi fedeli, quasi tutte inedite, sicché possiamo congedarci dall’ultimo rappresentante di un mondo al crepuscolo senza odio o rancore, ma con quel rispetto che si deve all’uomo per la rettitudine delle intenzioni e l’onestà dei sentimenti. L’onore dovuto ai nostri martiri sarà tanto più puro allora in quanto non alimentato dalla passione di parte, ma innalzato a quel più vivo senso di giustizia, per cui essi lottarono e morirono.” Chi cita l’Amorth forse ha dimenticato questo passaggio.Dovremmo pure ricordare Lodovico Bosellini, autore di una biografia degli ultimi due duchi, edita nel 1861 a Torino che dopo alcuni anni inviò una lettera a Francesco V scusandosi e chiedendo il di lui perdono per falsità e inesattezze che avesse scritto in quel volumetto.Negli ultimi anni sono stati pubblicati degli studi estremamente documentati, come, quello del prof. Roberto Martucci “l’invenzione dell’Italia unita” edito da Sansoni, che fanno definitivamente piazza pulita sulle reali volontà popolari, a cominciare dai plebisciti, già considerati finti dai diplomatici europei dell’epoca e delle rivolte che maggiormente erano dirette contro il nuovo governo unitario (l’ambasciatore inglese Elliot a Napoli lo testimoniò nelle sue memorie, e l’appassionata difesa che di Francesco V fece al parlamento inglese Lord Normanby, ambasciatore a Firenze, contestando le accuse mosse al duca dai nuovi governanti, tanto per citarne due).Qui non si tratta di rimpiangere i “bei tempi andati” che forse nella Storia di ogni paese non ci furono mai, come si tende idealmente a sostenere o a negare a seconda delle proprie convinzioni, ma tornare a quella serenità che dovrebbe essere la divisa di ogni italiano degno di questo nome, a qualunque schieramento appartenga.
Paolo Carraro