E poco conta la reazione patetica del segretario del PD: ”Al referendum più votanti che per la Meloni”. Non vale neanche la pena di mettersi a fare i conti, come fa oggi qualche analista: perché con ogni riscontro numerico sarebbe comunque una castroneria politica. La prova? Quello della Schlein è esattamente lo stesso ragionamento che fece la stessa Meloni il 18 aprile 2016, dopo il flop del referendum sulle trivelle. Che commentò su Facebook: “I milioni di italiani che sono andati a votare al referendum non lo hanno fatto per calcoli politici ma perché vogliono difendere il mondo del lavoro dagli sfruttatori amici del Governo.
Ma fuori da questo teatrino, Meloni e Vannacci si mangiano le mani perché questo tipo di successi, dal punto di vista comunicativo e politico, è troppo effimero per avere un riscontro nel consenso elettorale. Dire che anche a sinistra - nonostante le bandiere arcobaleno, i pranzi multietnici e le cittadinanze onorarie ai bambini stranieri, gli elettori non vogliono che gli extracomunitari divengano italiani potrà evidenziare dubbi interiori, ma non porta voti reali a destra. Lo dimostra l’esito più che deludente delle amministrative di quindici giorni fa e dei ballottaggi di ieri. Perché l’elettore di sinistra potrà anche essersi stancato di baby gang, rapinatori e ruote panoramiche: ma un Massimo Mezzetti resta comunque molto più affidabile di un Luca Negrini.
Il vero successo, invece, ci sarebbe stato con una forte partecipazione da destra al referendum. Di quella fetta di elettorato oggi molto influenzata dai social. Quella che è stata militarizzata dai leader all’astensione, attraverso lo spam continuo di video, foto, meme di reati di ogni genere di extracomunitari.
Questa sì che sarebbe stata una dimostrazione di forza della Meloni e di Vannacci. Ma sarebbe anche stato scoprire un po’ troppo le carte su come viene facilmente creato oggi il consenso. Meglio allora tenere le armi migliori per le prossime politiche e regionali, quando andare all’incasso diventerà proficuo.
Eli Gold