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Sicurezza stradale: no a riserve indiane, sì a spazi condivisi

Sicurezza stradale: no a riserve indiane, sì a spazi condivisi

Pensare di ottenere sicurezza progettando lo spazio pubblico e le strade come si è fatto negli ultimi 60 anni, oppure relegando il trasporto pubblico, i pedoni ed i ciclisti ai margini, è sbagliato


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La sicurezza dei ciclisti è spesso invocata chiedendo a gran voce provvedimenti nei confronti delle biciclette (freni inefficaci, luci non funzionanti), delle infrastrutture (piste ciclabili ovunque, anche in città), e del ciclista (educazione stradale, casco obbligatorio, abbigliamento ad alta visibilità).

Questi Commissari Tecnici del Traffico si scordano sempre dei provvedimenti da applicare al traffico motorizzato, e guardano alla bicicletta come corpo estraneo del traffico, da relegare solo al tempo libero. Tanto che nei loro commenti da bar o bacheche virtuali, per i pedoni ed i ciclisti auspicano un futuro da riserva indiana su ciclabili protette, non nascondendo il sogno di separare completamente la mobilità pedonale e ciclistica dalla mobilità generale.

Purtroppo per loro, i freddi numeri sugli incidenti stradali presentano il vero problema: la velocità dei mezzi motorizzati è la prima causa degli incidenti e dei morti, seguita dalla distrazione alla guida. Il 40% degli automobilisti dichiara di non rispettare, quasi sempre, i limiti di velocità nel centro urbano.

Bisogna allora intervenire sull’intera superficie stradale, ridisegnando gli spazi per abbassare le velocità e garantire una coesistenza in sicurezza a tutti, tramite ampliamento dei marciapiedi, costruzione delle isole spartitraffico salvagente, riduzione delle dimensioni delle corsie di marcia.
Basta sostanzialmente riproporre i caratteri tipici dei nostri centri storici, dove la velocità contenuta e la presenza diffusa di pedoni e ciclisti fa aumentare la sicurezza.

Perché così facendo si diffonde tra chi guida, tutti i mezzi, la percezione diffusa del rischio, e così la guida viene automaticamente adeguata al pericolo reale. Diversamente si continuerà a pensare agli incidenti stradali nella loro radice etimologica, cioè come eventi inevitabili che devono accadere.

Invece notiamo una inutile e negativa tendenza alla diffusione nelle città di cartelli luminosi, di segnali di grandi dimensioni, di cordoli giganti, magari colorati di giallo, tipici della viabilità autostradale, che inducono gli automobilisti a pensare di essere davvero su una strada ad alto scorrimento.

Pensare di ottenere sicurezza progettando lo spazio pubblico e le strade come si è fatto negli ultimi 60 anni, oppure relegando il trasporto pubblico, i pedoni ed i ciclisti ai margini, fa venire in mente una frase celebre di Albert Einstein “Non possiamo risolvere i problemi con lo stesso tipo di pensiero che abbiamo usato quando li abbiamo creati”.

Giorgio Castelli

 

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