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'Detestavo gli anni '80, in nicchie come Il Lambicco mi sono salvato'

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Intervista ad Andrea Chiesi, folgorato dal punk, ha iniziato disegnando per la fanzine del centro sociale di Vignola


'Detestavo gli anni '80, in nicchie come Il Lambicco mi sono salvato'
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Andrea Chiesi, pittore classe 1966 vive a Modena, dove è nato. Ha lo studio a San Pancrazio, piuttosto isolato ma in realtà poco distante dalla tangenziale. Andrea è un artista di talento, ha vinto diversi premi, ha lavorato a Pechino, Berlino, New York. I suoi lavori sono stati esposti in diverse gallerie in Italia e all'estero. Ha collaborato con i CSi e le Officine Schwartz. Tra le sue primissime collaborazioni, quella con il centro sociale Il Lambicco di Vignola (qui l'articolo), la nostra chiacchierata parte da lì. 

Come sei entrato in contatto con le persone che gestivano Il Lambicco, come arrivasti a collaborare con loro?
'Disegnavo già, non ricordo come entrai in contatto con loro, lo frequentavo, all'epoca mi interessava il punk politico, quello dei Crass, le realtà dell'autoproduzione e il Lambicco era un modello di vita alternativa.

Ricordo qualche incontro/scontro tra i 'vecchi' anarchici' e quelli più giovani provenienti dal punk. Il punk aveva molte contraddizioni, non amava gli hippies, ma quello più politico derivava proprio dall'esperienza delle comuni. È sempre stato un movimento contraddittorio, è iniziato nel ’76 con tendenze autodistruttive, per arrivare all’anarchia anti-thatcheriana dei Crass, e allo straight edge dei Minor Threat, contro la droga e l’alcool. Era tutto questo, visto dall'esterno è difficile comprendere come potessero coesistere tanti aspetti nella stessa definizione, ma forse il polimorfismo era la sua stessa essenza. Questo ambiente per me era vitale, io detestavo gli anni '80 del mainstream, mi sentivo fuori luogo, inadatto ai modelli di vita che venivano propugnati. In nicchie come il Lambicco mi sono salvato. Pubblicavo i miei disegni su QB, Quanto Basta, la loro rivista autoprodotta, per me fu importante, perché mi resi conto che il disegno aveva un valore comunicativo, potevo aprirmi e raggiungere gli altri, chi si sentiva come me.

Il pittore dipinge per se stesso, ma il risultato finale è aperto allo sguardo di chi vuole e può osservare. L’opera è portatrice di un valore molto profondo e di un aspetto comunicativo che può arrivare a un pubblico più vasto'.

Come ti sei formato?
'Ho avuto un percorso molto irregolare, come ti dicevo mi sono formato in ambienti indipendenti, nell'autoproduzione, grazie a Bruna Zarini ho collaborato con Stampa Alternativa di Marcello Baraghini, questa è stata la mia impronta, qui ho imparato ad avere la mente libera e aperta, non dogmatica. Ho esposto in gallerie a New York e nello spazio occupato SQOTT di Milano, per me non fa alcuna differenza, la pittura è pittura ovunque. Io dipingo per tutti, chi vuole osservare, osservi. Il resto viene di conseguenza. Se riesci a giungere al cuore di un giovane irrequieto, anche in situazioni istituzionali come una galleria, allora hai fatto un buon lavoro'.

Quella con Il Lambicco fu la tua prima esperienza artistica?
'Andiamo davvero indietro nel tempo, probabilmente la mia prima mostra è stata al Tuwat di Carpi, dove avevo appeso alle pareti alcuni disegni in 3D da guardare con gli occhialini a due colori. Mi aveva invitato Ivan Trevisi, che faceva parte di un movimento artistico chiamato la Retroguardia modenese, e aveva una libreria di fumetti, cinema e libri d’arte in via San Pietro a Modena, dove passavo interi pomeriggi. Questi furono i primi passi, che hanno segnato tutto quello che sarebbe venuto dopo. La ricerca sui luoghi abbandonati e sull'archeologia industriale nasce dall’immaginario musicale, dall’estetica punk, dalla musica industrial di gruppi come gli Einstürzende Neubauten, i Test Department o da gruppi post-punk come Coil o Current 93. In Italia sono state molto importanti le Officine Schwartz, una fusione originalissima tra cultura industrial e folk, il punk incontrava la cultura popolare, i cori degli alpini si mescolavano ai rumori della fabbrica'.

Parlami del tuo rapporto col punk, com'è nato?
'La Rai trasmise un documentario che raccontò quello che stava accadendo a Londra, nessuno poteva immaginare quello che sarebbe successo dopo; alcuni hanno visto il punk come l'accendino che ha acceso inaspettatamente, quello che nel frattempo era maturato. Dal punto di vista artistico è stato uno degli ultimi movimenti significativi del '900, si potrebbe dire che il secolo si apre col Futurismo e si chiude con il Punk. La musica era soltanto il veicolo, è stato l’ultimo fenomeno di rottura generazionale, e ha insegnato un’attitudine, un modo diverso di vedere le cose, e in ultima istanza, di vivere'.

Che situazioni trovasti a Modena?
'A Modena vidi i primi punk in Cittadella e fu una folgorazione; un giorno andai al Disco Club, il negozio di dischi che c'era dalla stazione delle corriere, e comprai Unknown pleasure dei Joy Division pensando che fosse un disco punk simile ai Pistols o ai Damned. Andai a casa e lo misi sul piatto, e in quel momento compresi chi ero. Quando parlo di punk intendo il genere nella sua totalità, quindi anche il post-punk, l’hard core, l’industrial, il gothic…. Ascoltavo i Black Flag, i Circle Jerks, i Discharge, i Current 93, gli Adolesents, i Christian Death, i Vrigin Prunes, i Cramps, i Gun Club… Mi sentivo affine a quei suoni, ma avevo talento nel disegno e ho cercato di applicare queste esperienze in ciò che sapevo fare'.

In quegli anni hai visitato Londra o altre città europee per conoscere i luoghi dov'era nato il punk?
'No, ero molto concentrato sul disegno, passavo i giorni a disegnare, ascoltando i dischi e Radio Antenna Uno Rock Station. Qualche volta andavo ai concerti, ne ricordo uno dei CCCP Fedeli alla linea a Vignola, finito in rissa contro gli skinheads fascisti di Verona; poi i Bauhaus a Modena, i Ramones, i Cure, fino ai Rage against the machine, forse l’ultimo vero gruppo punk nell’essenza: Fuck you, I wont do what you tell me. Non c’è altro da aggiungere. Il pittore è un animale stanziale, in quegli anni ero un ragazzo strano, completamente assorbito dal disegno'.

Hai fatto il Venturi?
'No, sono autodidatta. Ospito nel mio studio stages di studenti del Venturi, e a loro dico di continuare un percorso artistico canonico, studiare arte, iscriversi all'Istituto d'Arte, frequentare l'Accademia. Ti ribelli meglio se hai di fronte l’autorità. Nella mia vita ho sempre intrapreso percorsi complicati, assecondando la mia indole, ma non li suggerisco'.

Ricordi qualche concerto dalle nostre parti?
'I concerti dei gruppi dell’area Crass al Tuwat di Carpi; a Castelvetro c'era il Pakko dove suonarono gli Opposition, i Sex Gang Children, mi pare anche i Litfiba; ricordo i Test Department e le Officine Schwartz alla Fabbrika e i Disciplinatha all’Isola nel Cantiere di Bologna; i concerti in via del Voltone a Modena, nella vetrina del negozio di dischi Aargh di Max Ferri e Alessandro Formigoni, che organizzò i Fugazi al Condor, la celebre balera dei darkettoni. Poi, nei vari festival dell’Unità, i Redskins, band socialista inglese che mescolava soul e punk; i losangelini X, che prima del concerto passeggiavano nello stand del latte Granarolo, e gli Afrodisia del compianto Steppo, gruppo di spalla di Siouxsie and the Banshees con Robert Smith alla chitarra... Radio Antenna Uno organizzò alcuni concerti al Mascotte di Nonantola, all'epoca un club conosciuto in tutta Italia, e per loro disegnai tre tavole a fumetti che furono pubblicate su Rockerilla. C’era una energia unica, era un momento irripetibile. Tutto passa, è giusto così'.

La musica è ancora fondamentale nella tua vita?
'Sì, ma ho affiancato molti altri interessi. Per un fatto anche generazionale sono meno attento alle nuove uscite discografiche; può sembrare incredibile, ma mi piace ad esempio la musica barocca, anche se non amo quell'ambiente, troppo conservatore. La meraviglia del barocco è quella di creare un'illusione come reazione a una società in crisi, Creare un mondo astratto attraverso il virtuosismo. Questo è estremamente attuale'.

Sei mai stato a vedere l'Opera?
'Da giovane ho fatto il figurante per alcune opere liriche. Il teatro come creazione di una grande illusione, un meraviglioso artificio come sa essere anche la pittura. Orson Welles diceva che l'artista usa la finzione, l'illusione, per esprimere la verità. È l’aspetto più bello dell’arte'.

Sei molto legato alle Fonderie di Modena, ci sono altri luoghi della città che hai come riferimento?
'Come le Fonderie no, mio padre mi raccontava da piccolo dei fatti dell'eccidio, partecipò ai funerali. Per me è un luogo simbolo, uno dei primi spazi abbandonati che ho visitato. Sono posti che attraverso, Modena, Berlino, Pechino, New York, ma nel momento in cui li dipingo smettono di essere delle città, e diventano luoghi della mente'.

Parlami del tuo Il rapporto con Giovanni Lindo Ferretti e Massimo Zamboni. 
'Siamo amici a distanza, con Giovanni abbiamo fatto più cose insieme, recentemente ha scritto una bella lettera per la mia monografia. Massimo aveva composto una colonna sonora insieme ai Disciplinatha per la mia mostra Taccuni alla Galleria Rossana Ferri nel 1995. Giovanni è un mistico, a differenza di quello che pensano molti ha fatto un percorso coerente; se ascolti una canzone come Madre è tutto molto chiaro. La potenza della sua musica e delle sue parole è lontana dalle polemiche'. 

Con loro hai in previsione qualche progetto?
'No, ma recentemente ho fatto due azioni pittoriche al Ribalta di Vignola, una con Gianni Maroccolo (Litfiba, CCCP, CSI) e un'altra con Francesca Nicoli (Ataraxia). Le collaborazioni con Officine Schwartz nel 1991 e con CSI nel 1999 aprono e chiudono gli anni '90; dopo, accanto al disegno, inizia la pratica della pittura'.

Ci sono stati avvenimenti storici dal 2000 in poi che ti hanno cambiato sia come persona che come artista, penso all'11 settembre, alla strage del Bataclan o allo stesso Covid.
'In realtà no, il mio lavoro è sempre stato lontano dai fatti quotidiani, pur assorbendoli inevitabilmente. Come se agissi su un piano più astratto. Per quanto riguarda l'esperienza del Covid, lo considero all'interno di una riflessione generale sul concetto di natura. Natura che non è né positiva, né indifferente, né negativa. Si può considerare come un processo delle cose, un sistema di causa ed effetto in cui tutto è collegato. Un grande, unico organismo dove ogni essere vivente cerca in maniera ostinata, meravigliosa e terribile la vita. il Covid non è né buono né cattivo, esiste, come esistiamo noi, come esistono i fiori. L'uomo ha causato il cambiamento climatico, rischia di distruggere il proprio habitat, ma se ci estinguiamo ci saranno altre forme di vita che sapranno adattarsi. Le cose accadono, ma non si tratta di indifferenza, è consapevolezza'.

Quasi te lo aspettavi.
'Me l'aspettavo nel senso che queste cose sono sempre successe. Le generazioni precedenti sono sopravvissute a guerre e malattie, oggi viviamo in condizioni di benessere mai raggiunte prima e pensavamo di essere al di sopra di ogni pericolo. La peste del 1348 ha sterminato un terzo della popolazione europea; da quell'esperienza Boccaccio si è ispirato per il Decameron; muore Laura, il grande amore di Petrarca, che lo ispirerà per gran parte del Canzoniere. Boccaccio scrisse il Decameron anche per dimostrare ai fiorentini che si poteva andare avanti. Eventi negativi possono avere inaspettate conseguenze positive: è un flusso continuo, tutto scorre, tutto cambia, tutto è connesso. Se osservi le cose in questo modo si va oltre il giudizio. Il lavoro che sto portando avanti ora sul paesaggio è riflesso di uno stato esistenziale, di un'inquietudine interiore, e contiene la meraviglia del Barocco, il sublime del Romanticismo, l’esperienza del punk. Mi è stato dato questo dono, cerco di dipingere questo grande meccanismo universale che è la vita'.

Stefano Soranna


Redazione Pressa
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