'Vignola, allarme scritte violente sui muri: il silenzio dell’amministrazione è inaccettabile. Da troppo tempo, ormai, assistiamo a una situazione gravissima e indegna di una comunità civile: sui muri della chiesa dei Frati e su quelli di una villa privata appartenente a un noto imprenditore vignolese compaiono, da mesi, scritte minacciose e cariche di violenza politica e sociale, realizzate con vernice rossa. Tra le frasi, tutte inquietanti e di evidente matrice ideologica, si leggono parole come “Meloni come Moro”, “Colpire i ricchi”, “Sbirri assassini”. Non ci troviamo di fronte a semplici atti vandalici, ma a veri e propri messaggi eversivi, violenti, offensivi della memoria democratica del nostro Paese e istigatori di odio contro istituzioni, rappresentanti politici e forze dell’ordine'.
A denunciare il fatto è segretario di Popolo e libertà, Bruno Rinaldi.
'Parole che evocano un passato tragico e pericoloso, parole che rievocano le ombre degli anni di piombo, quando la violenza verbale e ideologica ha portato all’uccisione di innocenti, allo sfaldamento della convivenza civile e al ferimento profondo della nostra Repubblica. Il fatto che questi messaggi siano ancora lì, ben visibili in luoghi centrali e frequentati della città, senza che sia stato fatto nulla per rimuoverli, denunciarli o condannarli, è una macchia indelebile sulla coscienza dell’amministrazione comunale di Vignola.
È sconcertante, inaccettabile, scandaloso. L’inerzia delle istituzioni di fronte a questi fatti è di una gravità estrema. Chi è chiamato a governare una città, a rappresentare la legalità e la sicurezza, non può voltarsi dall’altra parte. Il Comune di Vignola, pur essendo evidentemente a conoscenza del problema, ha scelto il silenzio, ha evitato ogni reazione, ha rimosso l’episodio dall’agenda amministrativa come se fosse un fatto marginale o privo di conseguenze. Ma non è così. Non è solo una questione di muri imbrattati: è una questione di messaggi di odio lasciati liberi di circolare, è una questione di convivenza civile violata, di democrazia calpestata, di responsabilità istituzionale abbandonata. Quando si tace di fronte alla violenza, la si legittima. Quando si chiudono gli occhi di fronte all’odio, lo si alimenta. Quando si permette che certi slogan vengano lasciati indisturbati a imbrattare spazi pubblici e privati, si apre una ferita nella comunità e si dà un segnale devastante di debolezza e accondiscendenza. Questo atteggiamento diventa ancora più inspiegabile se confrontato con quanto avvenuto recentemente a Castelvetro, dove un episodio, altrettanto grave, ha visto un gruppo musicale di sinistra intonare pubblicamente “Guerra civile noi vogliamo far”, parafrasando in chiave violenta e provocatoria il canto “Bandiera Rossa”.
In quel caso, l’amministrazione comunale e il consiglio hanno avuto il coraggio e il senso istituzionale di condannare l’episodio, di dissociarsi apertamente, di assumere una posizione pubblica chiara. A Vignola, invece, niente. Nessuna nota ufficiale. Nessuna denuncia. Nessuna iniziativa per la rimozione immediata delle scritte. Un silenzio assordante, inaccettabile, pericoloso. Le istituzioni locali hanno il dovere morale e giuridico di intervenire. Devono presentare una denuncia formale alle autorità competenti, collaborare attivamente con le forze dell’ordine per individuare i responsabili, e soprattutto provvedere senza ulteriori indugi alla cancellazione di questi messaggi violenti e infami. Non agire significa diventare complici, significa accettare la diffusione dell’odio come parte del paesaggio urbano e culturale della città. Noi di Popolo e Libertà non possiamo e non vogliamo accettare questa deriva. Chiediamo con forza, e in modo netto, un’inversione di rotta. Chiediamo che si ristabilisca il principio di legalità, che si difenda il confronto democratico, che si tuteli il diritto dei cittadini a vivere in una città sicura, decorosa, rispettosa dei valori costituzionali. Il tempo dell’indifferenza è finito. Davanti alla violenza non si può essere neutrali. Davanti all’odio, chi tace acconsente. Serve una risposta chiara, forte, coerente.
Il silenzio, in questi casi, è complicità' - chiude Rinaldi.