'La Cgil ha bisogno di radicalità, sia nella proposta che nella azione, a partire da tre grandi temi: questione salariale, cambiamento climatico, appalti e frammentazione del lavoro'. E' uno dei passaggi centrali della relazione di apertura del segetario provinciale uscente della CGIL di Modena Daniele Dieci nel primo dei tre giorni che nela corice del forum Monzani a Modena accompagneranno i lavori del XIX congresso provinciale del sindacato.
'Il congresso – afferma Daniele Dieci segretario uscente Cgil Modena – rappresenta un momento di straordinaria importanza per la nostra organizzazione. Le sfide della contemporaneità ci devono spingere verso la modernizzazione del fare sindacato oggi, andando incontro alle nuove esigenze delle persone, ad un mercato del lavoro oramai de-composto e ad un livello di disuguaglianza economica, sociale e di opportunità intollerabile.
E non c’è metodo migliore se non quello di ripensarci, aprendoci alla valutazione e ai contributi di tutti i nostri iscritti ed iscritte, mettendo assieme le intelligenze, le intuizioni, le passioni e la forza della gente che rappresentiamo per garantirci ancora una volta di poter essere davvero uno strumento di emancipazione e libertà, nelle mani di tutte e tutti'.
Tre, come detto i temi centrali nelle sfide del sindacato. Di seguito riportati integralmente dalle parole del segretario nella relazione introduttiva.
'Partiamo dalla questione salariale. La folle accelerata dei prezzi sta facendo registrare cifre record. La corsa del prezzo dell’energia elettrica e del gas a mercato libero spinge l’inflazione a un livello che non si registrava dagli anni ‘80, toccando a Modena la cifra shock di inflazione media nel 2022 pari a +8,1%.
E l’inflazione, è bene ricordarlo, interviene su una società la cui struttura è già profondamente interessata da fenomeni di diseguaglianza economica, rendendoli ancora più evidenti.
Il fenomeno inflazionistico viene quindi dettato dall’esplosione dei costi energetici e delle materie prime, nonché dalla carenza di prodotti semilavorati determinata dalle difficoltà di funzionamento della catena di rifornimento globale, già avviato nel corso degli ultimi mesi del 2021, quando l'aumento dei prezzi dei fattori produttivi faceva aumentare anche i prezzi degli altri beni; non è quindi un’inflazione da domanda, che si presenta quando si verifica un aumento della domanda non sostenuto da un adeguato aumento dell'offerta.
Bisogna quindi intervenire radicalmente in una processo redistributivo che sia dentro ai rapporti tra capitale e lavoro, nel mondo produttivo.
Secondo il Rapporto Fin-Gov sulla corporate governance in Italia, realizzato dal Centro di ricerche finanziarie dell’Università Cattolica di Milano, la remunerazione media complessiva (emolumenti, dividendi, etc) dei Ceo italiani si attesta di poco al di sotto dei 2 milioni di euro.
Di conseguenza varia anche il pay ratio (rapporto tra la retribuzione più bassa e la retribuzione più alta), con una media di 35,8 nelle grandi aziende contro 19,4 nelle piccole aziende.
Per dirla in altri termini: se prendiamo a riferimento la media delle remunerazioni dei primi 10 top manager italiani, nel 2008 era di 6,41 milioni di euro, 416 volte lo stipendio medio annuo di un operaio; nel 2020 è stata di 9,59 milioni, cioè 649 volte.
Alla luce di tutto questo, avanziamo la seguente proposta, che abbiamo portato dentro la discussione congressuale anche attraverso la presentazione di un emendamento al documento “Il lavoro crea il futuro”, al quale personalmente ho aderito: bisogna mettere in campo un progetto redistributivo che parta da una vertenza nazionale sui salari in tutti i territori e in tutti i luoghi di lavoro; che individui nella tassazione di rendite, profitti, extraprofitti e patrimoni l’elemento per la riconquista di una giustizia economica e che fissi in 1:10 il rapporto tra la retribuzione più bassa e la retribuzione più alta dentro alla stessa realtà lavorativa, sia essa pubblica o privata.
A Modena siamo pronti a sostenere una vertenza diffusa su questo. Lo sciopero del 16
dicembre e la coraggiosa scelta di accompagnare quella giornata con un corteo assieme al
territorio di Reggio Emilia ci ha consegnato una dose importante di fiducia: non
disperdiamola.
Secondo nodo l’ambiente. La pianura padana continua ad essere un’area con altissimi livelli di
inquinamento, soprattutto atmosferico. Inoltre, a fronte di una necessaria transizione ambientale ed energetica, in particolare per quanto riguarda la produzione e il consumo di energia, che sia giusta e sostenibile sul piano ambientale, sul piano sociale e sul piano occupazionale, le politiche adottate sino ad ora sono state ancora troppo poco incisive.
Questo lassismo e questa scarsa nettezza nelle scelte da assumere rischia di spostare il costo sociale sulla popolazione, specialmente verso le fasce più fragili e più esposte.
Che cosa serve? Un nuovo modello di mobilità sostenibile che favorisca il trasporto merci su rotaia e non su gomma, forme di allevamento non intensive, investimento serio e profondo, anche in termini di ricerca scientifica, sulle fonti di energia rinnovabile e sicura, decarbonizzazione, economia circolare, riduzione del consumo di suolo, rigenerazione e riqualificazione urbana e no al nucleare. Questi devono essere i punti che caratterizzano un nuovo corso di politiche pubbliche che ponga al centro una transizione energetica ed ecologica giusta e radicale, dove la salute, la tutela e la dignità delle persone siano l’assoluta priorità.
Anche la nostra organizzazione vive su di sé il peso di un processo di transizione ancora instabile e scarsamente delineato. Questo rischia di relegarci ad un ruolo piuttosto difensivo.
Perché è inutile nasconderlo, la transizione ci apre alle nostre contraddizioni, anche alle nostre ambiguità. Affrontiamole, con la stessa radicalità che ci viene imposta dall’impellenza e gravità del problema: la transizione digitale e ambientale significa battersi per vere politiche industriali, di sviluppo, del turismo e della cultura. Vuol dire rivendicare un forte ruolo dello Stato e del sistema pubblico, con un intervento strutturato e governato per la riconversione dei settori produttivi più esposti e un piano per la giusta transizione con strumenti adeguati che riconoscano pienamente la formazione nell’orario di lavoro e incentivino la redistribuzione e la riduzione degli orari di lavoro.