Non li riapriremo: la pietra tombale della Regione sui punti nascita periferici
L'ha confermato il neo assessore regionale Fabi in commissione sanità: 'Non c'è sicurezza per donne e bambini'
Parole che chiudono ogni speranza rispetto non solo alla riapertura di quelli chiusi, come Pavullo (dal 2017) o come Mirandola (dal 2022 ufficialmente per mancanza di personale), ma anche rispetto al prosieguo delle deroghe in corso all'apertura per i punti nascita soprattutto montani in cui, per criticità anche territoriali, è stata garantita l'apertura pur con numeri di parti inferiori ai 500 annui. Una deroga che presupponeva, per mantenere la sicurezza, di investimenti in personale e strumentazioni. Così come era stato fatto per la deroga concessa nel 2017 a Mirandola.'Tenere aperti i punti nascita dove non c’è un sufficiente numero di parti è un rischio per le donne e i bambini. Su questo non transigeremo'. Una conclusione che come una mannaia si abbatte su tutti i punti nascita periferici, senza considerare che il calo dei parti in questi centri era stata provocato in minima parte dal calo fisiologico delle nascite a livello demografico ma da una precisa strategia di politica sanitaria regionale e provinciale, espressa in una costante opera di dirottamento di un sempre maggiore numero di parti di donne residenti nella provincia dai presidi territoriali ai grossi centri. Inducendo di fatto migliaia di donne a partorire a Modena, Carpi o Sassuolo anziché a Mirandola e Pavullo, sul loro territorio, dove avrebbero preferito e dove avrebbero potuto continuato avere le condizioni per farlo. In sicurezza. Ma questa, che poteva e doveva essere al centro di una discussione di merito sulle possibile riaperture, pare ormai una considerazione consegnata alla storia e agli archivi della politica regionale. 'Su questo non transigeremo' ha affermato l'assessore Fabi. Più chiaro di così.Gianni Galeotti
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