La rotta del Panaro vale più di metà del tesoretto chiesto col Recovery fund

I costi degli interventi programmati per la messa in sicurezza (non per piene grandi) del nodo idraulico modenese e chiesti dalla Regione, ammontano a 115 milioni di euro. L'alluvione di Nonantola ne costerà almeno 80

Ma del resto, un calcolo dei soldi necessari per un tale livello di messa in sicurezza, il Presidente della Regione e tantomeno l'assessore Priolo, questo non poteva nemmeno conoscerlo e tantomeno dirlo, semplicemente perché, si sa (non ufficialmente), che per questo scenario di piena esistono solo simulazioni degli effetti sul territorio, ma non esistono neppure progetti (negli ultimi dieci anni non sono stati nemmeno abbozzati), per affrontare una emergenza di quel tipo. Conseguentemente, proprio per la mancanza di progetti strutturali per fronteggiare piene centenarie, gli amministratori di oggi (che in parte lo erano anche ieri), non possono fare altro che spacciare come una 'piena' messa in sicurezza, quell'adeguamento a piene TR50 (per intenderci quella del Panaro del 6 dicembre raggiunse questo livello solo in un breve picco e solo, ma per la maggior parte della sua durata rimase sotto a questo livello), ciò che (se prendiamo a riferimento le piene centenarie), non è una messa in sicurezza.
Oggi, con messa in sicurezza, appunto, non si può fare altro che intendere quella possibile solo attraverso la realizzazione dei progetti (per altro molto limitati), a disposizione e finanziabili. Quelli della regione, per Modena, sono in parte relativi alla prevenzione (come l'adeguamento a livello TR50 del sistema delle casse di espansione del fiume Secchia che oggi sono adeguate solo a contenere piene non oltre il TR20), e in parte relativi ad una manutenzione spesso solo dettata dall'esigenza di riparare i danni provocati dalle piene sempre più frequenti. Molti, dopo anni di immobilismo e silenzi, sono quelli elaborati, ed in parte realizzati, solo dopo la devastante rottura dell'argine del fiume Secchia, a San Matteo, che provocò, nel gennaio 2014, l'alluvione di Bastiglia e Bomporto e la morte di un uomo, Oberdan Salvioli. Evento che suonò la sveglia agli amministratori locali e regionali.
Progetti, quelli a disposizione relativi al nodo idraulico modenese, che la Regione ha unito in una tabella da inviare a Roma e in Europa come proposta per la richiesta di accesso ai fondi del Recovery Fund. Nella quale, a conferma della limitatezza di diversi progetti, sono stati inseriti anche i lavori di manutenzione ordinaria e di sfalcio della vegetazione.
Lavori che per per quasi la metà dei 115 milioni interessano soprattutto l'asta del Secchia, più soggetta a livelli alti di piena a valle, a causa dello scarso funzionamento delle casse di espansione, dimensionate solo per piene piccole e mai adeguate per elevarne la capacità di trattenimento, come invece è successo alla cassa di espansione del Panaro nel 2012 con l'aggiunta di paratoie per aumentare fino a TR50 la capacità della diga e del bacino di contenimento.
E allora ecco che nell'elenco spuntano, come in una cartina al tornasole, tutti i progetti che la Regione ha veramente pensato ed elaborato in questi anni per la soluzione delle principali criticità del nodo idraulico modenese. Tutti validi, anche se limitati, per provare ad accedere agli ambiti finanziamenti europei. Ed ecco che qui che vediamo i 45 milioni programmati per i lavori di manutenzione straordinaria dell'alveo e
delle arginature del fiume Secchia da Rubiera al confine regionale (tra i pochi ad essere stati già finanziati e realizzati in parte per il primo stralcio che va dalla rotatoria di San Pancrazio al confine con il comune di Campogalliano, al ponte dell'Uccellino, al confine nord del Comune di Modena, comprendente anche il tratto di argine destro rotto nel 2014), così come gli stessi lavori per l'adeguamento delle casse di espansione del Secchia, che nello specifico delle arginature prevederebbero 32 milioni di investimento. Progetto quest'ultimo che andrebbe in parallelo alla realizzazione della nuova diga alla base del funzionamento della cassa per l'adeguamento alle piene TR50. Il progetto per quest'ultima c'è e la realizzazione costerebbe 15 milioni.
Spostandosi sul Panaro, dove la cassa di espansione è stata adeguata con l'inserimento, 9 anni fa, delle paratoie, a piene TR50 ma non sono stati adeguati molti tratti arginali a valle delle diga, vengono previsti, e chiesti nel pacchetto Recovery Fund, 15 milioni per la manutenzione straordinaria dell'alveo e delle arginature dalla cassa di espansione al fiume Po, di fatto per l'intero lungo tratto che attraversa, dal comune di San Cesario verso nord, i comuni di Spilamberto, Castelfranco, Modena, Bomporto, Nonantola, Ravarino, Camposanto, Finale Emilia. Cifre importanti, ma così come è importante la manutenzione e la prevenzione dei fiumi che quando non c'è o è in ritardo, poi provoca quei danni con importi di gran lunga superiori a quelli che con una seppur costosa prevenzione forse sarebbero stati evitati.
Basta pensare, pur al netto della consapevolezza che progetti e finanziamenti seguono strade diverse e non sempre sono tecnicamente e politicamente sovrapponibili, che con gli 80 milioni di euro, calcolati per difetto, che serviranno per compensare i danni soltanto dell'alluvione di Nonantola, legata alla rottura dell'argine del Panaro nel tratto di Bagazzano (che l'Assessore Priolo nella seduta dell'Assemblea legislativa regionale ha confermato, alcuni giorni dopo l'alluvione, non essere stata interessata nel recente passato da lavori di manutenzione), si sarebbero potuti realizzare tutti gli interventi di manutenzione delle arginature del Panaro a valle delle casse di espansione (compreso il tratto dove si è verificata la rottura), e l'adeguamento totale a piene TR50 di tutto il sistema delle casse di espansione del fiume Secchia (con l'adeguamento delle arginature e la realizzazione della nuova diga).
Elementi che danno l'esatta cifra del rapporto tra prevenzione e riduzione del danno, o meglio dei danni provocati dalla mancata prevenzione. Ed è su questo che le istituzioni locali e regionali e gli organismi di governo dovrebbero imprimere, insieme ad un aumento degli investimenti, un vero e proprio cambio di rotta nelle politiche di lungo periodo di tutela del territorio e della sua messa in sicurezza dal rischio idrogeologico. Almeno per iniziare, solo per iniziare, a recuperare gli enormi ritardi che negli ultimi 30 anni, per scelte politiche, si sono accumulati. Sperando che almeno, l'ultima alluvione, la seconda in sei anni in provincia di Modena, abbia dato anche una seconda sveglia.
Gi.Ga.
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