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Nel 1980 Giorgio Mai era alpino di leva e dopo il C.A.R. a Belluno venne trasferito a Feltre presso la caserma Zannettelli. Il 23 novembre di quell'anno, alle 19.34, la prima terribile scossa di terremoto che colpì diverse province del centro-sud, principalmente Avellino, Salerno e Potenza. Venerdì 28 novembre 1980, Giorgio Mai e il suo reparto, la 66esima Compagnia del Battaglione Alpini Feltre partirono per Potenza. Di quei giorni Giorgio ha conservato dei preziosi appunti, ho scelto le parti più significative.
'Durante il periodo di ferma militare, un potente terremoto ha causato in Irpinia e Basilicata molti danni e purtroppo, molte vittime. Alle operazioni di soccorso ho partecipato anch'io, con il mio reparto, la 66esima Compagnia del Battaglione Alpini Feltre'. 'Quel 23 novembre 1980 era una domenica di sole: «Non sembrava novembre», recita il ritornello della memoria'.
'Siamo stati svegliati nel cuore della notte fra giovedì 27 e venerdì 28 novembre 1980, alle 6, con il nostro equipaggiamento, siamo saliti sui camion e dopo quasi due giorni di viaggio siamo arrivati a Potenza, salutati da una scossa valutata intorno al settimo grado della scala Mercalli, seguita poi da un ricco sciame di altre scosse, più o meno forti. Siamo rimasti a Potenza quasi una settimana e a Baragiano quasi tre'.
'E’ una sera come tutte le altre, la gente passeggia per la via principale della città, essendo domenica i ritrovi sono pieni di gente e all'improvviso, la morte e la distruzione. La gente è stata colta alla sprovvista, coloro che in quel momento si trovavano lungo via Pretoria (la nostra via Emilia), sono stati travolti da una pioggia di calcinacci e detriti, 14 morti, gente che per la maggior parte usciva per andare a cenare.
Sembrava, dalle testimonianze raccolte, che le case fossero fatte di materiale elastico, il centro storico è stato raso al suolo ed era molto antico; Potenza vecchia non esiste più'.
'A parte la prima notte, a Potenza abbiamo dormito nell'edificio della centrale del latte, la cosa che mi colpì subito furono le bare accatastate in un deposito. Il centro era un macello, completamente distrutto. Di Potenza si sono salvato solo alcuni quartieri periferici, il pattugliamento che facevamo era davvero pesante, poteva succedere di tutto, vedevi la povertà, l'umanità ma anche la violenza causata dalla disperazione. Purtroppo c'erano fenomeni di sciacallaggio, non so chi fossero gli autori'.
'Il cordone di protezione formato da reparti dell'esercito, (fra cui il nostro) e da polizia e carabinieri ha bloccato il centro storico arrestando anche parecchia gente sorpresa a rubare e sciacallare tra le rovine. Le testimonianze della gente sono, a dir poco allucinanti, questa mattina, si vocifera di tre politici sorpresi ed arrestati per atti di sciacallaggio, la distribuzione di generi alimentari avviene in un clima alquanto teso a causa dell’esperazione, la pietà non esiste più'.
'Passa così una settimana, le scosse si attenuano, la vita riprende ma la paura, per molti rimane; a quella del terremoto, adesso si aggiunge quella causata dal freddo. Molta gente vive attorno ai falò perchè le case sono distrutte e le tende e le roulottes arrivate sono poche, mangia quello che può trovare (c'è una cucina da campo ma i pasti sono solo due e anche scarsi, oltre che freddi per gli ultimi arrivati). Molti sono fuggiti verso le campagne, verso il nord, verso l'ignoto; rimangono, di 50.000 abitanti, solo poche migliaia'.
'Uno dei nostri servizi, la prima settimana, consisteva nello sbarrare l’entrata a chiunque volesse entrare nella città vecchia: io ero dislocato in una zona non molto colpita ed abitata da gente autosufficiente, tanta bontà ed ospitalità verso coloro che sono accorsi in loro aiuto (ci hanno offerto caffè e roba da mangiare). Parlando con la gente, ho sentito varie versioni sulla catastrofe e mi ha colpito il fatto che la gente era incapace di muoversi, di correre perché la casa sembrava “come un pino sbattuto dal vento, sradicato e poi rovinato”, seppellendo la gente che passava'.
'Un'altra scena, questa indimenticabile: una sera sono passato, con altri commilitoni, in una piazza e qui, accanto al fuoco, c'erano i superstiti di tre famiglie, laceri, scalzi e digiuni: essi ci hanno esposto fra le lacrime, la loro drammatica situazione e noi abbiamo fatto ciò che la coscienza ci consigliava e ci siamo liberati di tutto ciò che avevamo (cioccolato, sigarette ed altro), facendo poi presente la situazione a chi di dovere. Purtroppo molti non vogliono lasciare le loro macerie, rendendo così più difficili i soccorsi; oggi si è registrato un altro decesso, forse non è l'ultimo, anche se si crede che qui in città, ormai, non vi sia più nessuno sotto le macerie'.
'Ma parlavo prima di testimonianze, eccone un’altre, curiosa in verità: un signore stava tranquillamente guardando la partita (Inter- Juventus), al momento del boato che segue il gol, un boato ancora maggiore distrugge la casa (per fortuna della sua famiglia si conta solo un ferito)'.
Ultimissime.
'Le condizioni del tempo sono inclementi, il freddo è intenso, neve e pioggia si alternano al sole, le strade sono ghiacciate al mattino e fredde la sera; ma questo non importa alla gente, né tanto meno alle squadre di soccorso che si prodigano giorno e notte. Debellato il pericolo di epidemie ora ci sono 6 ospedali da campo, 3 posti di distribuzione a cura dell’esercito e un magazzino centrale in cui partono e arrivano generi di tutti tipi e dove ha sede la direzione'.
Poi lo spostamento a Baragiano Scalo.
'La nostra permanenza qui è durata circa tre settimane, fino al rientro a Feltre, alcuni giorni prima di Natale. Ricordo la nostra prima base, in una casa in costruzione, ricordo l'impegno di noi tutti in una quotidianità ricca di lavoro, di ascolto, di sorveglianza, lavoro soprattutto a livello logistico, di distribuzione di viveri e vestiti; ricordo anche che poco lontano c'era un campo organizzato da volontari modenesi. Poi alloggiammo in tende, senza alcun tipo di riscaldamento, eccettuati i nostri sacchi a pelo, dove, nelle giornate più rigide, quando non ero di servizio spesso, almeno io, mi rifugiavo. I momenti di libertà erano veramente pochi, in alcuni di questi avevamo contatti con la gente locale, soprattutto lungo la strada, a volte in qualche locale pubblico o in chiesa'.
Giorgio è tornato in quei luoghi: 'Ho voluto tornarci, a Baragiano, la casa che fungeva da nostra base ora è abitata, il borgo è rinato, la vita è tornata, è stato un momento di intensa emotività'.
Cosa ti ha lasciato quell'esperienza?
'Mi è servita molto, è stata la mia prima volta a contatto con il dolore e la sofferenza, quelle vere; se la tv ha fatto vedere l'aspetto “superficiale” o “spettacolare” (come citava un quotidiano di quei giorni), con i miei occhi ho visto gente che nonostante quello che stava vivendo, si stringeva attorno a persone mai vista prima e subito fraternizzava. Ho visto gente lavorare insieme, piangere insieme per essersi ritrovata viva, gente ben disposta e, soprattutto, accogliente e sincera. Un vivo ringraziamento alle persone di Potenza e Baragiano che ho incontrato.'
Stefano Soranna
Foto: gruppo Facebook Potenza d'epoca