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La Madonnina, probabilmente il quartiere negletto che più di altri ha bisogno di un profondo rinnovamento urbano. Rinnovamento che dovrebbe partire prima di tutto dalla demolizione del cavalcavia sull’ex ferrovia e del conseguente ri-utilizzo dell’area sulla quale insiste e di quelle adiacenti come primo atto di rigenerazione. Utilizzando così gli spazi liberati da questo sgraziato, plumbeo ed ingombrante ponte in cemento armato sì dà creare una nuova base per la realizzazione di una grande piazza pedonale e ciclabile. Un simile intervento avrebbe un “valore e peso urbanistico” simile a quella della speculare dell’attuale Largo Garibaldi dall’altra parte della Via Emilia. Il primo effetto sarebbe senz’altro quello di ripristinare il cannocchiale visivo sulla Ghirlandina ottenendo di conseguenza spazi di quantità e qualità che potrebbero sostenere il baricentro, il salotto buono del quartiere con eleganti ed attraenti edifici di buon pregio ed utilità quotidiana.
E così ad esempio al posto dei supermercati e dell’edificio alquanto goffo e disarmonico del bowling, potrebbero trovare posto nuove architetture con funzioni anche plurime di qualità sia residenziale che commerciale e perché no, anche artigianale. Poiché è qui, in questo preciso luogo che l’ambiente urbano può ripartire dopo oltre 150 anni verso una riqualificazione completa con una visione che deve essere ambiziosa e traguardata oltre lo spazio-temporale di una legislatura. Un progetto integrato quindi per uscire dalla mediocrità e banalità che sino ad ora hanno caratterizzato diverse iniziative di rigenerazione.
Alla Madonnina gli interventi che possono far parte di una rigenerazione urbana possono contemplare il ripristino e la valorizzazione di alcuni edifici liberty di Via Tabacchi, (la vecchia Via Emilia), la qualificazione verso Reggio Emilia di altri edifici otto/novecenteschi all’incrocio della vecchia via per Carpi e poi ancora avanti con la ricomposizione spaziale e fondiaria di ampie aree di risulta sino ed oltre l’incrocio con via Barchetta a destra ed a sinistra della Via Emilia.
È qui che la visione urbanistica di un’amministrazione può trovare gli argomenti ed i momenti di accordo con i privati per una rigenerazione urbanistica di una area di città altrimenti ancora destinata al declino ed all‘oblio come sino a ora è avvenuto. La rigenerazione di un quartiere così complesso come la Madonnina non può basarsi solo su di un sedime ferroviario abbandonato, la “diagonale”, senz’altro utile e divertente per andare in bici e camminare in sicurezza, ma che al momento non è altro che e una nodosa e soporifera ricucitura, una “zip” una “cerniera lampo” che cuce ben poco perché nel suo intorno c’è poco e quel che c’è è non è poi granché. All’opposto, dal piede del cavalcavia ad Ovest sino a toccare la Via Emilia e Strada San Cataldo a Est ci sarebbero oltre 500 metri di lunghezza per quasi duecento di larghezza dove il tocco magico dell’urbanistica micellare e dell’architettura sartoriale farebbero di questo angolo di città l’apogeo e sintesi della città nuova. Dando finalmente stimolo, valore ambientale, visivo, commerciale ed anche immobiliare ad un’area che per troppo tempo è stata ignorata se non abbandonata. La vicina area sportiva ed il Parco Ferrari la dotano già di servizi urbani di qualità mentre il recupero di ogni interstizio non edificato e di un nuovo disegno stradale consentirebbe la creazione di piccole piazze e slarghi lungo l’asse della vecchia e nuova Via Emilia; dove il piccolo commercio, la panchina ed il verde, il marciapiede (largo) da passeggio sarebbero gli ingredienti magici di una nuova socialità sotto l’egida della Madonnina di Loreto. E finalmente si potrebbe portare a soluzione unitaria di dignità architettonica e urbanistica le decine e decine di baracche prefabbricate adiacenti al ponte oggi né più né meno che squallide cantine all’aperto (che dentro ci entra a malapena un triciclo) a servizio delle oramai smorte case popolari. La rigenerazione urbana alla Madonnina sarebbe un procedimento urbanistico complesso, di natura integrata che dovrebbe essere prima di tutto di impegno e comprensione sociale, analisi economica e progettazione che arriva all’architettura come conclusione di una nuova visione del rione, sino ad ora labile e superficiale.
E’ su queste dimensioni che si gioca la partita del consumo zero di suolo e della capacità di una amministrazione di contribuire a creare qualità urbana, città densa e vitale. Certo ci vuole una buona dotazione di risorse economiche e professionali che abbiano il compito di portare a compimento la rigenerazione complessiva di una parte consistente della zona. Appunto partendo dalla demolizione del ponte (mostro sguaiato cha appare come un verme putrido in decomposizione) e della progettazione urbanistica delle aree immediatamente limitrofe sino ad arrivare all’ex Fonderia e comprendere una mobilità più equilibrata fra le diverse modalità di trasporto sull’intero quartiere. Ovvero per dotare l’area di una nuova mobilità prevalentemente non motorizzata, di servizi di vicinato, di un centro per anziani, di una casa della salute ed altri servizi pubblici e privati vitali per una comunità operosa. E’ in contesti come questo della Madonnina allora che se davvero la nuova legge urbanistica regionale è così potente così come ventilato avrebbe senso metterla alla prova: per i privati una occasione importante di infondere valore alla proprietà fondiaria, per l’amministrazione la capacità di indirizzare sviluppo urbano di qualità agevolando al contempo concretamente la riqualificazione dell’intero comparto verso Nord sulla San Cataldo e verso Sud nel vintage dell’amato ed iconico villaggio artigiano che ancora oggi dopo tanti convegni e pagine di intenti è ancora uno spazio anarchico senza più identità che rischia di rimanere sciatto e disadorno agli occhi di chi lo percorre e che ne subisce anzi, una sorta di ostilità deprimente. Strade senza alberi, ancora senza marciapiedi che quelli esistenti sono striminziti, edifici senza qualità architettonica; di fatto un’area che è solo un ricordo di una grande volontà pubblica di progresso civile e vitalità individuale d’impresa e del fare che purtroppo lascia solo edifici industriali ed artigianali prevalentemente di poca qualità nella forma e nella sostanza. Ritengo che non possa essere solo la mano felice di “stucco e pittura” pur importante del creativo di turno anche se mirabile, che può trasformare e rigenerare un quartiere, quanto adottare criteri, materiali ed infrastrutture lineari adeguate al cambiamento climatico anche attraverso misure di NBS- “Nature Base Solution” per le componenti idrauliche se non come in parte è già avvenuto, di una partecipazione sociale. Auspicabile allora un’opera collettiva, di forze economiche e sociali, capaci di visioni di lungo periodo con riscontri nel breve e nel medio che solo impegno di competenze integrate e non di facciata ne può assicurare il successo. E quindi a seguire obiettivi chiari, un programma di azione, una solida base finanziaria: sapendo che sarà necessario l’impegno di tutta ed anche più di una legislatura per una nuova configurazione urbanistica in grado di recuperare intanto i valori di fondo che hanno dato origine alla Madonnina e poi infondere una qualità alta del vivere il quartiere.
Lorenzo Carapellese – Urbanista
Lorenzo Carapellese
Urbanista , laureato all’Istituto Universitario di Architettura di Venezia è esperto di mobilità, trasporti e infrastrutture strategiche. Svolge la s.. Continua >>