Opinioni Lettere al Direttore

Modena, il verde dove non ti aspetti... Macchè degrado è antropologia visiva

Modena, il verde dove non ti aspetti... Macchè degrado è antropologia visiva

Viviamo in una città che ha saputo convertire da tempo la sciatteria in tratto identitario, l’assenza di manutenzione in raffinata poetica del degrado


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Gentile direttore,
chi si avventura lungo via Giardini, tra marciapiedi cosparsi di erbe spontanee, cubetti di porfido divelti, buche strategicamente disposte e rattoppi d’asfalto dall’estetica informale, non corre certo il rischio di annoiarsi. L’attenzione del pedone deve rimanere vigile, è vero — ma nulla di grave: studi recenti affermano che lo slalom quotidiano tra buche e fronde ad altezza d’uomo contribuisce significativamente alla prevenzione dell’Alzheimer.
Il vero gioiello, tuttavia, è rappresentato dai cespugli spontanei che prosperano con fierezza a ridosso dei marciapiedi, proprio all’angolo tra via Giardini e la tangenziale Sud. Non che manchino altrove — la città, anzi, ne è cosparsa con coerente generosità — ma qui, nel crocevia più battuto di Modena, si compie la massima espressione di questo esperimento di botanica urbana non autorizzata.
Per gli automobilisti, poi, l’effetto è quello di un sofisticato vedo-non vedo, una sorta di sipario verdeggiante che unisce mistero e suspense viabilistica. Mi piace definirlo: il verde dove non te lo aspetti. Una forma ibrida, a metà strada tra la land art e l’incuria elevata a pura poetica civica.
Mai mi è capitato, nelle molteplici città europee (e non) che ho visitato, di trovare un tale rispetto per le tracce del tempo e della natura.
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Là dove altrove si ostinano a dilapidare denaro pubblico per rimuovere ogni segno dell’azione umana o vegetale, qui si utilizza quel denaro per scopi più elevati: celebrarne la sedimentazione, valorizzare ogni aspetto del vissuto quotidiano — il cestino divelto, il ramo caduto dall’albero — con rispetto e umiltà.
Marciapiedi perfetti, strade immacolate, cassonetti sempre svuotati? Una triste omologazione.
A Modena, invece, regna una visione più vera e profonda: la sporcizia dalle strade non si elimina, si solleva con grazia nell’atmosfera con l’uso sapiente dei soffiatori; le erbacce non si estirpano, ma si curano con quella che potremmo definire una potatura leggera — o addirittura zen — che consiste in un abbandono consapevole.
E vuoi forse che i cittadini non partecipino a questo progetto corale? Certamente sì. C’è chi li accusa di “abbandonare rifiuti”, ma è evidente che si tratti piuttosto di installazioni collettive a cielo aperto. Una lattina accartocciata, un materasso, un volantino scolorito dal sole e dalla pioggia: frammenti di vissuto urbano che raccontano storie silenziose.
È arte relazionale. È street decor. È antropologia visiva in tempo reale.
Creatività, inclusione, partecipazione, gentilezza: questa è la cifra stilistica che ci distingue.
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Viviamo in una città che ha saputo convertire da tempo la sciatteria in tratto identitario, il disinteresse amministrativo in spazi d’espressione, l’assenza di manutenzione in raffinata poetica del degrado.
La smart city, con i suoi algoritmi, sensori e spazzatrici robotiche, è roba superata.
Modena ha, da diversi anni, intrapreso la strada della wild city, che persegue con fierezza e determinazione. Un modello davvero visionario, dove le azioni casuali, l’entropia e la regia discreta dell’abbandono dettano la forma.
Grazie dell’attenzione.
Adriana Cetro
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