L’adorante kermesse a distanza di Zelensky presso il nostro Parlamento è servita anche a rimediare prontamente all’unica battuta d’arresto conosciuta in questo trionfante pellegrinaggio virtuale nei parlamenti dell’Occidente. Il 20 marzo, la reazione della Knesset israeliana alle sue parole era stata infatti piuttosto gelida. Essendo di origini ebraiche, l’ex comico e i suoi gost writers pensavano di andare sul velluto lanciandosi nell’ardito parallelismo tra l’invasione russa e l’Olocausto nazista e sollecitando i parlamentari israeliani ad aiutare l’Ucraina come gli ucraini avevano aiutato gli ebrei durante la seconda guerra mondiale.
Com’è noto gli israeliani sono molto sensibili al tema dell’unicità dell’Olocausto e si irritano facilmente di fronte a simili raffronti; e inoltre alcuni milioni di cittadini israeliani sono di origini russe e ucraine, e hanno ancora viva la memoria di quale sia stato effettivamente - con la lodevole eccezione dei 2.673 riconosciuti Giusti tra le nazioni - il contributo degli ucraini alla salvezza degli ebrei nel tragico periodo della seconda guerra mondiale.
L’accoglienza tutt’altro che trionfale del parlamento israeliano non era però dovuta solo ad alcune frasi infelici pronunciate da Zelensky. Israele è stato l’unico paese occidentale con stretti rapporti con gli USA che non ha condannato nettamente l’invasione russa, rifiutandosi inoltre di applicare sanzioni a Mosca e di fornire armi a Kiev, neppure elmetti o giubbotti antiproiettile. Gli israeliani assegnano da sempre la priorità alla difesa dei loro interessi nazionali con un realismo cinico, talvolta brutale. Di esso hanno dato ampia prova anche nelle incursioni che hanno condotto dal 2006 al 2021 nella striscia di Gaza e che hanno provocato circa 3.500 vittime palestinesi, tra cui molti civili. E il loro atteggiamento prudente sul conflitto in Ucraina va soprattutto attribuito alla volontà di non sacrificare i buoni rapporti stabiliti con la Russia nel delicato contesto siriano e mediorientale. A smuoverli da questa posizione equidistante non ha però di certo contribuito lo sviluppo dell’estremismo nazionalista ucraino, favorito in questi anni dagli americani per esacerbare l’ostilità verso i russi, i quali non si sono fatti alcuno scrupolo nell’armare e addestrare milizie dichiaratamente neonaziste come Azov, Aidar e Donbass; quelle stesse formazioni che sulla pagine dei giornali nostrani vengono ora presentate come le nuove brigate partigiane della Resistenza sulle Termopili della democrazia a Mariupol e dintorni contro le orde russe avanzanti. Se per i nostri media queste sono quisquilie nella santa crociata tra il bene e il male non lo sono invece per un paese come Israele, che per i vincoli ancestrali con quelle terre e per le sofferenze che gli ebrei vi hanno subito, è senz’altro meno disponibile a transigere su questi rigurgiti nazisti.
Al momento, questa posizione defilata sta guadagnando a Israele e al suo primo ministro Naftali Bennett il ruolo di credibile mediatore tra le parti, a cui aspirano, ma che certo non possono svolgere, né il presidente francese Macron, né il cancelliere federale tedesco Scholz, posizionati saldamente nella trincea armata antirussa. Da parte sua, il presidente Zelensky è ancora convinto che la pace si possa raggiungere utilizzando come sponda qualche paese schierato in suo favore e ha criticato “una mediazione senza scegliere da che parte stare”; secondo lui “si può mediare tra paesi ma non tra il bene e il male”.
I cannoni intanto continuano a tuonare e la strada per raggiungere la pace appare ancora lunga; forse la direzione giusta di marcia è quella indicata dal presidente cinese Xi Jinping nel citare un verso del poeta Hui Hong della dinastia Song: “Spetta a chi ha legato il sonaglio al collo della tigre il compito di toglierlo”. Fuor di metafora, la pace si potrà raggiunge se gli Stati Uniti che hanno legato il sonaglio della NATO al collo della tigre russa, che ora sta cercando in modo scomposto di strapparselo di dosso, vorranno o saranno in grado di toglierlo.
Al di là dei suoi possibili frutti e dei tempi necessari a coglierli, l’iniziativa del presidente israeliano Bennett appare uno dei pochi spiragli di ragionevolezza in un mondo che per la prima volta dal 1945 sembra correre trafelato verso il precipizio della guerra.
Giovanni Fantozzi - storico