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Al Teatro Storchi in scena L'attesa

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Tratto dall'omonimo libro, mercoled' 30 e giovedì 31 Michela Cescon lo dirige con due attrici molto amate dal pubblico, Anna Foglietta e Paola Minaccioni


Al Teatro Storchi in scena L'attesa
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Michela Cescon porta in scena al Teatro Storchi di Modena mercoledì 30 e giovedì 31 marzo alle ore 20.30 L’Attesa di Remo Binosi: il testo, pubblicato da La Nave di Teseo, ha ricevuto il “Biglietto d’oro Agis” come miglior novità italiana nel 1994 e ha fatto conoscere l’autore veneto al grande pubblico.

Da L’attesa è nato nel 2000 un film, Rosa e Cornelia, diretto da Giorgio Treves con Stefania Rocca e Chiara Muti, e nel 1994 uno spettacolo prodotto dal Teatro Due di Parma, con la regia di Cristina Pezzoli e l’interpretazione di Maddalena Crippa ed Elisabetta Pozzi.

Ventotto anni dopo, Michela Cescon lo dirige con due attrici molto amate dal pubblico, Anna Foglietta e Paola Minaccioni, insieme sul palco per la prima volta.

Il testo è costruito attorno a due donne, la nobildonna Cornelia e la sua serva Rosa, che vengono allontanate e rinchiuse per nove mesi per nascondere entrambe una gravidanza.

Si racconta una clausura, un’impossibilità a uscire e oggi, dopo l’esperienza del lockdown, l’idea teatrale di chiudere due personaggi all’interno di una stanza diventa più che mai reale e sentita per il pubblico.

'I personaggi sono empatici, emozionanti, veri» scrive Michela Cescon «e si prova per Rosa e Cornelia grande simpatia: soffri con loro, le ami con dolcezza, partecipi prima con una, poi con un’altra, poi con tutte e due… alla fine non ti sorprendi di pensare che forse potrebbero essere la stessa persona.

L’attesa è proprio un testo per il palcoscenico, per gli attori, pieno d’invenzioni molto riuscite.

Tutto è raccontato con freschezza e con un erotismo naturale nei confronti della vita e del mondo.

Alle due attrici viene richiesta un’adesione fisica ai personaggi totale, e il loro stare in scena diventerà molto sensuale, non per un finto gioco di seduzione, ma per la loro immersione nel racconto; un racconto sui corpi femminili, sulla punizione per il desiderio, la punizione di essere donne, sulla maternità, sull’amicizia, sull’amore, sul piacere, sulla lealtà, sulle differenze di classe… due voci femminili che per me diventano un gran bel punto di vista, e che cerchiamo di portare in scena con il nostro sguardo più personale e intimo'.

 

Con rimandi a Goldoni, Bergman, Ibsen, Strindberg e Genet, il testo di Binosi ha insieme una grande forza drammatica e vis comica e riesce a parlare al pubblico di oggi con una capacità di coinvolgere cui è difficile rimanere indifferenti, nonostante l’azione sia ambientata nel ‘700. I temi e i contenuti sono universali: il rapporto serva-padrona, il seduttore Casanova, la maternità, il male e la morte sono raccontati con continui cambi di registro narrativo, dalla commedia al dramma, dal noir fino alla tragedia.

«Insieme ai miei collaboratori – prosegue la regista – abbiamo costruito un luogo scenico che rappresenta la mente di Cornelia, il diario su cui lei scrive, dove la chiusura o l’apertura dei muri è metafora di una condizione interna, della vita del cuore; mentre la relazione con l’esterno viene raccontata dalla luce e dal buio, dalle ore del giorno e dai suoni della campagna estiva, e dalla natura prepotente che le circonda. La messa in scena ha un segno classico, per omaggiare il grande teatro, e alle attrici viene chiesto di non uscire mai, di avere a che fare solo con il loro corpo. Gli unici oggetti con cui lavorare sono un letto, due sedie e gli abiti dai colori forti e simbolici che con loro danzano una partitura serrata di cambi e di trasformazioni».

 
Per la sua messinscena Michela Cescon sceglie di partire dalla prima stesura del testo del 1992 che, a differenza di quella del ‘94, esalta la relazione fra le due protagoniste e rende marginale l’intervento del terzo personaggio, la nutrice, che qui infatti la regista elimina, concentrandosi sulla relazione fra le due donne.

La prima versione, scritta a macchina dall’autore stesso, è dedicata alla moglie Anna: «Mia moglie era in attesa di nostra figlia Giulia – scriveva Remo Binosi – e io stavo leggendo le memorie di Casanova. Le avventure del grande seduttore si accompagnavano all’esperienza che stavo vivendo, con il procedere della gravidanza il corpo di mia moglie cambiava e insieme cambiava anche il rapporto che lei aveva con sé stessa e con le altre donne. La sentivo parlare con le sue amiche e intessere facilmente discorsi anche con donne molto diverse da lei, si scambiavano emozioni, consigli, paure e speranze. C’era tra loro una corrente di grande energia comunicativa. Proprio a partire da un dato intimo come quello del corpo gravido, le donne costruiscono una rete di confidenza e complicità di cui gli uomini sono assolutamente incapaci. Il maschio mito Casanova con la sua dispersiva sessualità, mi sembrava la prova di questa incapacità, cominciai così a pensare a una storia che mettesse a confronto due donne diverse entrambe incinta dello stesso uomo assente».


Redazione Pressa
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