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La dottoressa Maria Grazia Modena è innocente. Completamente. Il suo camice per la giustizia italiana è immacolato. Per la Cassazione lo è oggi e lo è sempre stato. E ora? Ora chi chiede scusa? Chi - al di là dell'orgoglio ostentato ancor oggi per indagini più o meno sperimentali - chiede scusa a una professionista umiliata, derisa e alla quale è stata stroncata una carriera di successo? Non solo: chi chiede scusa ai pazienti che per 5 anni non hanno potuto essere curati da una dottoressa considerata un luminare della cardiologia? Qualcuno dovrebbe farlo. E non bastano le felicitazioni dell'Università e la solidarietà a denti stretti del Policlinico che - nonostante tutto - ancor oggi non vorrebbe reintegrarla.
Qualcuno dovrebbe chiedere scusa. Per avere rovinato una persona, la sua reputazione. Senza motivo per la Cassazione. Al di là degli steccati, dell'obbligo della azione penale e del sacrosanto dovere di indagine delle procure.
Allora, invece di chiedere le scuse ad altri, stavolta iniziamo noi. Abbiamo ripescato i giornali di cinque anni fa, quelli del novembre 2012 quelli dell'avvio dell'operazione Camici sporchi. Ecco, rileggendo quei giornali alla luce della sentenza di oggi chiediamo scusa.
Perchè il processo mediatico è davvero una stortura che lede le persone e offre una immagine della giustiza non più come baluardo di garanzia, ma come spauracchio del quale avere paura. Perchè tutti possono finire nel tritacarne. Perchè il processo mediatico non lede il 'potere', ma le persone. Convinti che il giornalismo, anche quello giudiziario, non faccia affatto il 'cane da guardia del potere' ricopiando semplicemente gli atti dell'accusa ancor prima dei processi.
Per questo, dopo aver chiesto scusa alla Modena, sottoscriviamo anche l'intervento degli avvocati della Camera penale di Modena, un intervento degli avvocati Guido Sola e Alessandro Sivelli, nato da uno scontro proprio con il sindacato e l'ordine dei giornalisti.
'Il diritto di informazione è sacro e va difeso. Ma va difeso anche il processo, il Giusto processo ed i principi costituzionali del diritto di difesa, della presunzione di innocenza. Il processo mediatico spesso inquina e travisa il processo, quello vero, quello disciplinato dal codice di procedura penale, quel processo che si deve celebrare nelle aule dei Tribunali; il processo mediatico diventa uno spettacolo e come tale non informa correttamente; viene dato più risalto alla fase delle indagini che alla fase dibattimentale; l’informazione di garanzia viene equiparata ad una condanna; vengono “passate“ dalle procure e dalla polizia giudiziaria atti e notizie dell’indagine in violazione del segreto istruttorio, a volte prima ancora che l’indagato sia a conoscenza dell’indagine; i fotografi vengono preavvertiti degli arresti perché possano immortalare l’umiliazione dell’indagato, presunto innocente. In manette; vengono diffusi filmati che riproducono scene del delitto spesso in modo non fedele. Non si può negare che alcuni magistrati hanno costruito con i processi mediatici la loro carriera politica e che la pubblicazione della notizia diventa inevitabilmente cassa di risonanza della tesi dell’accusa, solo dell’accusa. Tutto questo provoca una informazione parziale, che può condizionare anche l’imparzialità del giudice ma che soprattutto forma nell’opinione pubblica un convincimento inesatto e diffonde una distorta cultura dei principi costituzionali del giusto processo, del diritto di difesa e dalla presunzione di innocenza'.
Ecco, da giornalisti condividiamo.
Giuseppe Leonelli
Redazione Pressa
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