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'Nel penitenziario modenese ci sono 554 detenuti su una capienza di 372. Ben 84 sono in attesa di primo giudizio, 329 sono stranieri. Ci sono 93 protetti e 30 sono detenute di sesso femminile. Al Sant’Anna i detenuti non italiani sono il 60% e vi è un ampio ricorso alla custodia cautelare, ma il 15% dei reclusi non è neppure stato sottoposto ad un processo di primo grado. Forza Italia non vuole norme “svuota carceri”, ma chiede di garantire i diritti inalienabili con provvedimenti mirati'. A parlare sulla situazione del carcere di Modena è Antonio Platis, vice coordinatore regionale di Fi.
'Il cronico problema di sovraffollamento porta a situazioni di disagio drammatiche sia per i reclusi - vedi l’alto numero di suicidi in cella - sia per gli agenti della polizia penitenziaria che con abnegazione svolgono un ruolo determinante.
Per non parlare di tutti quei detenuti con problemi di tossicodipendenza che, in un contesto carcerario del genere, non potranno mai essere recuperati. Le strade sono due, l’accordo con i paesi di origine per far scontare le pene agli stranieri nella loro nazione e l’affidamento alle comunità di recupero a chi ha problemi di droga. Molto spesso ci si riempie la bocca con parole come rieducazione e reinserimento in società, ma sono concetti al momento astratti per quanto riguarda la maggior parte dei penitenziari italiani. Ci sono invece esperienze in comunità di lavoro e recupero, rare ma da incentivare, il cui tasso di recidiva dei detenuti accolti è bassissimo. L’opposto di chi invece sconta tutta la pena nel carcere. Forza Italia – conclude il vice coordinatore regionale Antonio Platis – sta lavorando per risolvere i problemi, non per usarli come strumento di propaganda, salvo poi non fare assolutamente nulla a elezioni avvenute.
L’obiettivo a cui tendere è recidiva zero'.
Anche le camere penali da tempo pongono l’accento sul drammatico numero di suicidi chiedendo che si faccia maggior ricorso a misure alternative alla detenzione nei casi ovviamente in cui risulta possibile. 'Occorre – spiega l’avvocato Enrico Fontana, noto penalista di Modena - da un lato rendere effettiva ed immediata l’esecuzione della pena sia per le vittime del reato che per rieducare il condannato, dall’altro lato rendersi conto che il carcere deve restituire alla società civile un individuo non più socialmente pericoloso. Il carcere, per utilizzare un termine forse oggi abusato, deve essere inclusivo e risocializzante non deve generare esclusione e segregazione. Chi vive oggi in carcere vive sempre più in un mondo a parte e corre il rischio di essere ancora più escluso dalla società civile e dal mondo del lavoro. I suicidi quasi quotidiani nelle nostre carceri sono un grido di disperazione di un mondo che non può essere taciuto e nascosto. Di un mondo che va cambiato e ripensato. Chi è in carcere deve avere un lavoro, non restare chiuso in una cella gelida d’inverno e bollente d’estate. Chi è in carcere - conclude Fontana - impari un lavoro che gli consenta di mantenersi lecitamente, sia quando è in carcere pagandosi i costi - che ricordiamoci sono enormi - della detenzione, sia quando avrà restituita la sua libertà e tornerà nella società civile'.
Redazione Pressa
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