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Segre e Markizova: nei gulag stessi orrori di Auschwitz

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Anche il più sprovveduto della politica avrebbe compreso subito che quella ordita dalla Sinistra sulla Segre era una trappola


Segre e Markizova: nei gulag stessi orrori di Auschwitz
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In questi ultimi giorni, il caso ampiamente dibattuto dall’opinione pubblica è stato quello della Commissione voluta da Liliana Segre, delle minacce che ha ricevuto la Senatrice, della scelta di assegnarle una scorta e dei diversi atteggiamenti assunti da amministratori e politici dal Parlamento ai Consigli Comunali.

 

Il Centro Destra, e in particolare la Lega Nord, nella Commissione sopra citata hanno visto uno strumento per limitare l’opinione e l’azione personale e, soprattutto, ribadire ancora una volta il concetto che chi non è di sinistra è un fascista convinto o a quella ideologia è imparentato in qualche modo. L’accusa è stata quindi di strumentalizzare, a fini politico/elettorali, una persona, una sopravvissuta al campo di concentramento di Auschwitz, e le reazioni nei Consigli Comunali sono state le più diverse: dalla proposta della cittadinanza onoraria alla Segre, espressa dal sindaco leghista di Ferrara, a quattro consiglieri del Carroccio a Modena che non hanno voluto alzarsi in piedi per onorare la Senatrice a vita.

 

Anche il più sprovveduto della politica avrebbe compreso subito che quella ordita dalla Sinistra era una trappola per riaffermare la tesi dei leghisti quali esponenti di una destra estrema, razzista e senza umanità; qualunque siano le giustificazioni esposte successivamente dai 4 consiglieri, resta il fatto che per tanti modenesi, compresi molti di destra, la loro scelta ha confermato il giudizio del Pd: siete dei fascisti!

 

Eppure, conoscendo un po’ di storia, sarebbe stato così semplice alzarsi in piedi, riaffermare la propria estraneità a qualsiasi forma di violenza e sopraffazione e ricordare alla sinistra che a passare per le armi donne e bambini innocenti non sono stati solo Hitler e Mussolini; anche un’altra ragazza, come Liliana Segre, riuscì a sopravvivere alla deportazione.

 

Si chiamava Engelsina Markizova. A molti non dirà nulla questo nome, ma se cercate una fotografia ufficiale di Stalin del 1936, è lei la bimbetta in braccio al dittatore.

L’immagine fu pubblicata su tutte le prime pagine dei giornali con la dicitura “Papà Stalin”. In verità, come testimoniò Aleksandr Solzhenitsyn nei tre saggi “Arcipelago Gulag” Stalin era tutto tranne un papà affettuoso verso il proprio popolo: tra il 1930 e il 1953 nei campi di lavoro sovietici morirono circa 20 milioni di persone e il 40% di loro erano solo adolescenti e bambini innocenti, figli di genitori colpevoli d’essere ebrei o non allineati al potere. Erano classificati come “Nemici del Popolo” e nei gulag patirono la fame, soprusi indicibili e la fucilazione.

 

Ecco cosa scrivevano questi ragazzi a Yekaterina Peshkova, Presidente della Croce Rossa Sovietica e seconda moglie di Lenin, nell’illusione che potesse intercedere per loro: «Viviamo scalzi, nudi, affamati e pieni di pidocchi. A colazione ci danno un pezzetto di pane con cipolla e sale. A pranzo barbabietola lessa con del cavolo e alla cena non dobbiamo neanche pensare perché non c’è».

 

Tra il 1937 e il 1938, in poco più di un anno, quasi un milione e mezzo di bimbi anche in tenerissima età si ritrovarono orfani del padre, il più delle volte, ucciso dal regime e finirono nei campi di lavoro forzato. L’operazione fu denominata con l’ordinanza n° 00486 “Repressione delle mogli e dei figli dei traditori della Patria”.

 

Dobbiamo ringraziare Gorbačëv e l’apertura degli archivi di Stato, se oggi abbiamo un’idea più precisa e meno idealizzata di quello che fu uno dei regimi più terrificanti della storia, superiore per numero di vittime a quello di Hitler e Mussolini.

 

Come ad Auschwitz, nei gulag sono state trovate sepolture di massa, tombe senza alcuna iscrizione e si è potuto comprendere l’età del sepolto soltanto in base alla lunghezza dello scavo, spessissimo di circa un metro di lunghezza. Il medico di uno di questi campi scrisse al comando centrale:

«Impossibile somministrare i vaccini anti-vaiolo. Il 75% della popolazione ha corpi emaciati, i bambini si stanno gonfiando e morendo di fame».

 

Nel 2002, Aleksandr Yakovlev, Commissario del Cremlino per la riabilitazione delle vittime della repressione politica, indicò in 10 milioni i bambini, solamente i bambini e gli adolescenti come Liliana Segre, morti nel sistema di deportazione minorile. Alcuni, come Engelsina Markizova, riuscirono a sopravvivere, ma di loro non si parla, non si assegnano cariche politiche, non si dibatte pubblicamente: figli di un dio minore, di una dittatura giustificata e assolta.

 

Non vi commuove tutto ciò? Non ritenete profondamente ingiusto che si discuta ancora di sostanziali differenze tra fascismo, nazismo e comunismo (che governa ancora con gli stessi metodi oppressivi gran parte del mondo)?

 

Finché non si avrà il coraggio di chiudere questo libro degli orrori e di ammettere l’evidenza, come già ha proceduto il Consiglio d’Europa, non ci sarà futuro per l’Italia e gli italiani, sempre divisi tra Guelfi e Ghibellini, tra fascisti e comunisti, incapaci d’ammettere che le grandi ideologie del secolo scorso furono entrambe una sciagura per l’umanità, da non ripetere e neppure rivendicare quale ispirazione per il tempo presente.

 

Massimo Carpegna


Massimo Carpegna
Massimo Carpegna

Visiting Professor London Performing Academy of Music di Londra. Docente di Formazione Corale e del master in Musica e Cinema presso Istituto Superiore di Studi Musicali Vecchi Tonelli..   Continua >>


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