Da anni Lapressa.it offre una informazione libera e indipendente ai suoi lettori senza nessun tipo di contributo pubblico. La pubblicità dei privati copre parte dei costi, ma non è sufficiente.
Per questo chiediamo a chi quotidianamente ci legge, e ci segue, di darci, se crede, un contributo in base alle proprie possibilità. Anche un piccolo sostegno, moltiplicato per le decine di migliaia di
modenesi ed emiliano-romagnoli che ci leggono quotidianamente, è fondamentale.
Sul rapporto tra inquinamento e diffusione del Covid 19 recentemente vi è stato uno scontro nella comunità scientifica, con l'assessore regionale Priolo che si è è affrettata a schierarsi con i negazionisti di tale correlazione.
Le parti in campo sono, da una parte, 'Biologi per la scienza' e la 'Società italiana di aerosol (Ias)' (qui il documento) che frenano sulla ipotesi dichiarando che 'un eventuale effetto dell'inquinamento sul coronavirus è allo stato attuale delle conoscenze un'ipotesi che dovrà essere accuratamente valutata con indagini estese e approfondite', dall'altro lo studio della Società italiana di medicina ambientale (Sima) qui visionabile con Università di Bari e Bologna che evidenzia una relazione tra i superamenti dei limiti di legge delle concentrazioni di Pm10 registrati nel periodo 10-29 febbraio e il numero di casi di Covid-19 aggiornati al 3 marzo.
Oggi sul tema interviene Enrico Clini, direttore delle Malattie dell’apparato respiratorio del Policlinico di Modena.
La pianura padana è un'area notoriamente inquinata. Questo ha favorito il diffondersi di covid 19?
'Noi sappiamo con certezza che l’inquinamento, in particolare i micro-particolati nell’atmosfera, aumentano il rischio di patologie respiratorie e cardio respiratorie. Non abbiamo ancora dati sufficienti per sostenere, con evidenza scientifica, che esista una correlazione tra l’inquinamento delle aree più industrializzate e la diffusione del COVID19. In questo momento, affermare una simile relazione, è azzardato. Solo quando disporremo di un maggior numero di dati, potremo chiarire questo aspetto di grande interesse epidemiologico'.
In che modo la reazione immunitaria del singolo provoca l'insorgere della polmonite?
'Anche in questo campo, non abbiamo ancora dati sufficienti per formulare ipotesi significative. Sappiamo che questa infezione colpisce sia soggetti anziani, sia soggetti più giovani, con un sistema immunitario più forte. In generale, sappiamo, che effetto di replicazione virale si associa a una enorme risposta infiammatoria che, in maniera anomala, si concentra nel polmone. Gli effetti clinici possono dipendere da come l'individuo (il suo sistema immunitario) reagisce rispetto a questo effetto che si traduce clinicamente in sintomi e 'polmonite interstiziale'. In generale i pazienti portatori di patologie croniche hanno una maggiore predisposizione/rischio (benché non esclusivo) allo sviluppo della sindrome clinica e della polmonite. Anche in questo caso, quando avremo più casistica potremo trovare la chiave di questo problema che è fondamentale per comprendere il funzionamento dell’infezione e scegliere le terapie più efficaci, insieme al vaccino, contro il virus'.
Redazione Pressa
La Pressa è un quotidiano on-line indipendente fondato da Cinzia Franchini, Gianni Galeotti e Giuseppe Leonelli. Propone approfondimenti, inchieste e commenti sulla situazione politica, .. Continua >>