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Ora che la sentenza di assoluzione dei vertici della Cpl Concordia, accusati nel 2015 di concorso esterno con il clan dei casalesi, è divenuta definitiva, ora che l'accusa più infamante è stata cancellata, lo storico presidente Cpl Roberto Casari parla della vicenda giudiziaria e del trattamento a lui riservato dal mondo cooperativo. Roberto Casari, all’epoca presidente di Cpl, Pino Cinquanta, direttore commerciale e Giulio Lancia, ingegnere-capo commessa, sono stati assolti con formula piena sia in primo che in secondo grado e la Procura ha rinunciato al ricorso in Cassazione. La giustizia ha dimostrato insomma che nessuno della Cpl cercò mai nemmeno un avvicinamento con i camorristi.
L'odissea giudiziaria di Casari, dopo 11 assoluzioni, e che dura ormai da 6 anni, si avvia dunque alla conclusione.
Resta ancora in piedi il processo per false fatturazioni fermo alla condanna di primo grado in Tribunale a Modena.
In una lunga intervista video andata in onda su Facebook de La Pressa in diretta questa mattina (22 luglio) e che sopra riportiamo in modo integrale, l'ex patron della Cpl racconta della sua esperienza in carcere a Napoli, dove ha trascorso due mesi, e a Modena, del muro alzato nei suoi confronti dal mondo cooperativo e dalla sua Cpl e del silenzio col quale anche oggi la cooperativa concordiese ha accolto la assoluzione.
Arriverà il tempo della richiesta di risarcimento danni, ma quello che Casari ora sottolinea con piacere è 'la solidarietà che ha ricevuto in questi anni da alcuni vecchi cooperatori della Cpl', cooperatori che lo hanno accompagnato nel percorso che ha portato alla trasformazione di una piccola cooperativa locale in un colosso imprenditoriale.
Una intervista, quella a Roberto Casari, che tocca una serie di questioni irrisolte e lascia aperti interrogativi dirimenti per l'interà società civile.
Una questione legata al mondo cooperativo. L'isolamento subito da Casari è qualcosa che va ben oltre la semplice spiegazione di una policy di difesa aziendale e che viceversa interroga anche sulla ipocrisia che spesso regola i rapporti umani. 'Ricordo ogni sensazione, ogni fitta allo stomaco, ogni volta che ho pianto e urlato. Non dimentico l’omertà iniziale, dove manco la gente poteva parlarmi, ed oltre che dipendente ero pure socia' - dirà la figlia di Casari, Roberta Casari.
Una questione legata alla giustizia. 'Questa vicenda ha dimostrato che esiste un sistema giudiziario che accerta con scrupolo la verità - ha detto Casari -. Sarebbe stata una giustizia più giusta se la magistratura avesse usato più prudenza nella fase iniziale delle indagini'.
Una questione legata all'antimafia. Le associazioni antimafia, spesso in prima fila nello schierarsi nella denuncia nelle prime fasi dei processi che ruolo svolgono quando questi processi finiscono con assoluzioni complete? Che tipo di risarcimento 'morale' è possibile pensare verso chi per anni ha dovuto sopportare l'etichetta del filomafioso?
Una questione legata al ruolo dei media. Le parole con cui Casari pochi giorni fa in una nota ha reso pubblica la sentenza di assoluzione definitiva, sono emblematiche. 'Ai mezzi di informazione, che al deflagare dell’inchiesta enfatizzarono l’ipotesi accusatoria, si chiede ora di dare pari risalto alla sentenza assolutoria e di riconoscere che per 5 anni gli imputati si sono difesi senza gridare al complotto, senza accusare la giustizia politicizzata, ma collaborando con i Giudici perché si comprendesse bene che avevano realizzato un metanodotto d’avanguardia, accettando di venire a lavorare in un territorio reso difficile dai condizionamenti criminali perché garantiti dall’allora segretario della Commissione Antimafia e dunque dalla parte più sana dello Stato'. Ecco, i media hanno dato il dovuto spazio a queste tesi espresse da persone uscite completamente assolte dalle accuse che pesavano sulle loro vite?
Infine dalla intervista emerge una questione legata all'umanità che spesso è più viva e spiccata nei luoghi di confine. 'Con molti carcerati conosciuti a Napoli ho mantenuto un rapporto epistolare stretto - dice Casari - Se la solidarietà che si vive in carcere o tra le prostitute guidasse anche le relazioni tra banchieri, il mondo sarebbe un posto migliore'.
Giuseppe Leonelli
Redazione Pressa
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