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Se a confronto il 26 gennaio alle elezioni in Emilia Romagna vi fossero due idee di mondo allora sarebbe tutto più semplice. Se vi fosse la sinistra da una parte e la destra dall'altra... sarebbe facile comprendere la sfida. E invece i poli sono invertiti (o almeno in parte): la sinistra è diventata destra e la destra, pur parlando agli esclusi dal Sistema e ai ribelli (purchè italiani si intende), è diventata ancor più destra.
Stefano Bonaccini, storico Ds, cresciuto nell'ultima stagione della scuola politica comunista, ex segretario provinciale Pd, ex segretario regionale Pd, ex uomo di fiducia di Bersani ed ex uomo di fiducia di Renzi, oggi pur di mantenere il potere in Emilia Romagna (un potere che gestisce oltre 12 miliardi di euro all'anno, oltre due terzi dei quali spesi sulla sanità regionale alla faccia delle collette elettorali) ha deciso di rinnegare la sua storia.
Ha deciso di nascondere i simboli Pd, di dipingere la sua campagna elettorale di verde, di imbarcare in coalizione o nelle sue liste gente storicamente di destra come Carlo Fagioli, Giuliano Cazzola, Eugenia Bergamaschi e altri politici in fuga dai 5 Stelle come Piergiorgio Rebecchi o Gianluca Sassi. Tutto pur di mantenere il potere. E cosa non è di destra, conservatore, finanche reazionario, se non questo?
'Chi era contro era comunista' gridava Gaber. Ebbene, oggi Bonaccini è espressione esclusivamente di chi è con il Sistema, accudito dal Sistema, coccolato dal Sistema e dalla Tradizione, avvolto come sanno avvolgere le sciarpe di cashmere, appoggiate d'inverno sulle spalle di signori distinti con scarpe lucide e cappello. Quei signori con capelli bianchi che entrano nelle cioccolaterie di lusso scegliendo uno a uno i cioccolatini, con mani sottili e curate, con l'orologio d'oro e cinturino in pelle marrone.
Che sanno che a casa alle 12.30 si pranza e alle 20 si cena, al rintocco del vecchio pendolo nella sala col pavimento di granito. Che la Messa di Natale in Duomo è imperdibile, indipendentemente dalla Fede.
E alla sinistra nazionale, smarrita, distrutta da scissioni, rinnovamenti un tanto a rottamazione e scandali, non resta che lasciar fare a Bonaccini, arresa alla sconfitta ideale ma aggrappata all'idea di non perdere il potere, vergognandosi di se stessa. Con il povero Zingaretti costretto ad arrivare a Modena quasi in sordina e probabilmente nemmeno accompagnato dal barbuto governatore.
Questo è quel che resta della sinistra. E, coi 5 Stelle trasformatisi in nebulosa indefinita, l'unica alternativa è una destra, la Lega in primis, sempre più destra. Fatta, è vero, di slogan identitari e nazionalisti, con richiami religiosi da Sudamerica, incapace di scrollarsi di dosso circoli evidentemente impresentabili. Una destra che ha fagocitato il mondo liberale di Forza Italia e che ne va orgogliosa. Eppure questa destra, sovranista e identitaria, oggi rispecchia l'anti Sistema, accoglie le istanze degli ultimi, di chi è stato messo ai margini del Sistema e di chi il Sistema - a causa della crisi economica - proprio non ce la fa a continuare a tutelare. Gli ultimi italiani, si intende, lo abbiamo detto. I penultimi insomma. Perchè gli ultimi veri, quella fetta di mondo che chiede di essere salvata, ormai è stata condannata a morte. Da tutti.
Una destra che cancella riti e liturgie pompose e inutili e che, così, diventa paradossalmente rifugio dei ribelli, di signornò e di chi, caparbiamente contro, non accetta di inchinarsi al potere dei più buoni, dei cattolici per convenienza, degli accoglienti solo con chi non si mette di traverso. Perchè tante e tali sono le colpe di quel che resta della sinistra emiliana, tanta è la repulsione per un sistema settantennale di potere esclusivo e settario, per una imprenditoria troppo spesso costretta a inginocchiarsi al partito, che gran parte degli emiliano romagnoli hanno deciso di correre il rischio di passare dall'altra parte. Un rischio non calcolato, ma quasi obbligato. Perchè la sinistra (o meglio la non sinistra) è riuscita nell'impresa di cancellare la parola Speranza dalla mente di chi vi aveva creduto.
Giuseppe Leonelli