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Ho letto con stupore su “La Pressa” l’articolo a firma Giovanni Finali, dedicato ai nuovi eletti e dal titolo: “Ma è necessario che Checco Zalone salga in cattedra in Consiglio?”. Il “pezzo” racconta un’accasciante disinformazione sulle procedure che, a quanto pare, è ben rappresentata in tutti i partiti, dall’opposizione a quelli della maggioranza.
Non è certamente una bella notizia che i nostri eletti non abbiano avvertito l’esigenza di prepararsi “sugli strumenti e sui modelli organizzativi comunali. Sulle 'differenze', sempre ad esempio, fra un'interrogazione ed un'interpellanza, su una delibera ed una determina, su una richiesta d'accesso agli atti ed un ordine del giorno, sul modello organizzativo del Comune, etc.”, come scrive Giovanni Finali. Questa mancanza significa non poter svolgere il proprio impegno con efficacia, soprattutto nell’opera di controllo affidato alle opposizioni.
In alcuni casi, significa anche non aver compreso il proprio ruolo: “Talvolta, in odore di megalomania, dibattono (come fossero all'ONU) su questioni politiche internazionali – prosegue Finali – sulle quali, oltre all'espressione di solidarietà o condanna, un Consiglio comunale può fare ben poco … E in questi sforzi verbali si impegnano per tempi interminabili ...”.
Viviamo nell’era della velocità a tutti i costi che, quando si tratta di conoscenza, significa non aver pienamente compreso soggetti e ruoli, significa superficialità, spesso accompagnata da presunzione. Una presunzione che paga, a dispetto di chi vuole ancora approfondire le tematiche sui testi: la testimonianza più eclatante di questi giorni è l’attivazione di corsi universitari per diventare “Influencer”!
Anche la politica non ha voluto essere da meno: si ciba di slogan, dà forza alla pochezza delle idee con l’urlo e l’insulto, crea il nemico da abbattere a qualsiasi costo facendogli indossare l’abito più vile e perfido, promuove lo scontro e coinvolge le masse in un tifo da stadio, trasforma la politica e il dibattito in uno show hollywoodiano, utilizza massicciamente i social, dove il linguaggio comunicativo è fatto di estrema sintesi e, quindi, banalità: una immagine con didascalia, un videoclip con il soggetto ripreso che pronuncia una frase roboante quanto inutile, un testo che non deve superare le due righe perché, statisticamente, il pubblico non ama pensieri più lunghi, passa oltre e neppure inizia la lettura del post.
E questo approccio non è esclusiva di un partito, sia ben chiaro. Le sciocchezze abbondano ovunque. Ascoltavo in questi giorni certe dichiarazioni del Presidente Conte: “Vogliono indebolirmi perché ho troppo consenso”; “Nel governo bisogna fare squadra: chi non è d’accordo è fuori”. Posso intuire i concetti, ma di quale consenso parla il Presidente? Non rappresenta alcun partito e neppure si è mai presentato ad una elezione. Il suo può essere un consenso popolare, che conta un cappero, se non è tradotto in elettorale. In quanto al “chi non è d’accordo è fuori” può dirlo Di Maio, ma non Conte: l’automobile che gli hanno dato, non è sua; lui è stato chiamato dall’anonimato a rivestire un incarico di mediazione e non decide chi siede accanto o scende, per il semplice motivo che dietro lui c’è il nulla.
Per fare un altro esempio, cito Grillo con il suo “togliamo il voto agli anziani, perché il futuro non è loro”. Il livello del pensiero grillesco è questo, che emerge dal semplice fatto che oggi tutti hanno una platea pronta ad ascoltare le cose più assurde. Ora mi si dirà che non vedo di buon occhio i Cinque Stelle; sbagliato: non vedo di buon occhio l’ignoranza e la presunzione, ovunque alberghi e che sempre camminano a braccetto.
Questo pressappochismo imperante e spalmato in ogni dove, dalla politica agli elettori, ai giovani: è una situazione pericolosa per la democrazia, molto più dei fascisti che alcuni scoprono ad ogni angolo. L’unica arma che ha un popolo per difendersi dalla tirannia, anche camuffata, è la cultura. Mortificare la cultura o assoggettarla ad una sola voce, significa sottrarre la libertà di pensiero, di analisi e critica: le due minacce del potere, che rifiuta sempre il confronto con opinioni diverse sostenute dalla conoscenza.
Quindi, cari eletti di fresca nomina, mettersi subito a studiare e, se posso azzardare un consiglio, utopie e sciocchezze varie, lasciamole ad altri. La città ha bisogno di un sano pragmatismo alla Ralph Waldo Emerson e di progetti che, di solito, non hanno colore, se risultano realmente utili a tutti.
Massimo Carpegna