Potrebbe essere più ingente del previsto l’ammanco nelle casse di Amo, arrivando al mezzo milione. Nel mirino,
come Amo stessa ha certificato in una nota di ieri, gli strani movimenti di una dipendente infedele. Che pare abbia effettuato un’ingente mole di bonifici verso il proprio conto corrente personale, per sostenere spese tutt’altro che necessarie.I fatti sarebbero stati rilevati per la prima volta dal Direttore Generale già il 16 aprile scorso, quando sarebbe emerso un primo bonifico con destinatario diverso da quello avente titolo. E contestati alla dipendente, che avrebbe prodotto documentazione non ritenuta esauriente. Informando a questo punto l’amministratore unico Stefano Reggianini, attuale segretario del Pd. Nei giorni successivi sono emerse sempre più incongruenze, si è affidato il caso a professionisti legali che hanno raccolto tutte le informazioni e da fine aprile si è provveduto a informare i soci “di riferimento”, il Collegio sindacale, l’organo di revisione e anche i revisori e controllori precedenti, trattandosi di fatti iniziati nel 2019. Chiedendo a tutti massima riservatezza. La denuncia vera e propria sarebbe stata presentata solo oggi in Procura, presentando le 300 pagine predisposte dai legali.
Questi i fatti, per come descritti dalla stessa Amo nella nota – e siamo a disposizione per correggere eventuali imprecisioni.Questa ricostruzione, negli intendimenti di Amo e dei “soci di riferimento” del PD, dovrebbe mettere tutto a tacere e comunicare urbi et orbi che tutto è stato fatto nel migliore dei modi. Che la colpa è unicamente della dipendente e che è stata scoperta licenziata e denunciata. Bravi quindi dirigenti e amministratori e cattiva la dipendente. Ma è così?Noi, nei panni dei dirigenti, avremmo usato un timing completamente diverso. Dal primo bonifico, che viste le cifre in gioco non crediamo fosse simbolico, avremmo fatto subito un check su tutti i movimenti verso quel conto corrente – tempo: qualche ora in totale, altro che due mesi. Per capire se fosse stato un errore o qualcosa di diverso. A questo punto sarebbe senz’altro emersa l’anomalia e avremmo fatto istantaneamente denuncia all’autorità giudiziaria, facendo fare a loro le analisi del caso. Per evitare manipolazioni dei dati e occultamento di capitali e patrimoni e provare a salvare il salvabile. Perché non si tratta di una dipendente infedele di una ditta artigiana che abbia fatto la cresta sui buoni pasto, e che una volta licenziata può compensare con il TFR.
Ma di una dipendente che s’è portata via 500.000 euro di soldi pubblici.Poi, sempre nei panni dei dirigenti, non avremmo avvisato affatto amministratori, revisori, collegi sindacali, soci e altri. Perché – lo diciamo con tutta la sensibilità necessaria, con tutti i dubbi del caso e senza voler puntare il dito su nessuno – ma se in 6 anni una dipendente riesce a fare chissà quanti bonifici verso se stessa per 500.000 euro, come pare, senza che nessuno se ne accorga è difficile pensare che tutti in questa partita abbiano fatto al meglio il proprio dovere. Per usare un eufemismo. E, allora, anche in questo caso andava dapprima informata l’autorità giudiziaria, per evitare ogni, anche solo ipotetica, compromissione delle indagini.Qui invece pare che tutto sia stato fatto per farne uscire tutti gli amministratori al meglio. E secondo noi nessuno chiederà loro conto dell’accaduto. “Finirà a tarallucci e vino” dicono alcuni addetti ai lavori bene informati. Palesando – qualora fosse necessario – quello che appare agli occhi del cittadino medio come un netto conflitto di interessi. Perché siamo sempre lì: quale sarà mai il sindaco PD che chiederà conto dell’ammanco al suo segretario provinciale – e amico personale – Reggianini o agli altri controllori nominati dalla politica?
Eli Gold